domenica 15 novembre 2009

LUIGI CANALI: IL PARTIGIANO CHE TENTO' DI SALVARE MUSSOLINI, L'ORO DI DONGO E IL CARTEGGIO....

La vicenda che stiamo per narrarvi è una di quelle storie sconosciute che rientrano a pieno titolo nella censura volutamente messa in atto dalla storiografia ufficiale di questo paese. Per oltre mezzo secolo infatti si è cercato di nascondere, per precise ragioni politiche, la figura di Luigi Canali, e ciò che gli accadde, al punto da cancellarlo praticamente dalla storia, limitandosi solamente a relegarlo come semplice comparsa degli eventi dell’aprile 1945. 
La realtà invece, come vedremo fra poco, è però ben diversa.... Egli fu custode in quelle ore concitate del destino di Benito Mussolini e Claretta Petacci, ma anche di tutti i documenti trovati nelle sue borse (tra cui il carteggio segreto con Winston Churchill) e pure tutto l’oro in possesso della colonna fascista fermata nei pressi di Dongo (di cui fece censire l’intero ammontare). Il suo ruolo che entrava in netta contrapposizione alle prerogative dei partigiani comunisti, il suo essere testimone scomodo di eventi inconfessabili e documenti da far sparire, ne sancirono pochi giorni dopo la sua scomparsa....

LA STORIA 

Luigi Canali, più comunemente conosciuto con il nome di battaglia di “Capitano Neri”, è sicuramente l´uomo più enigmatico di tutta la vicenda che riguardò la morte di Benito Mussolini. Nato a Como nel 1912, per anni lavorò come impiegato, fino allo scoppio della guerra. Nel 1936 aveva partecipato alla campagna in Africa Orientale (nell´epopea della conquista imperiale); durante il secondo conflitto mondiale venne inviato sul fronte russo, dove si distinse per il suo valore ed ottenne il conseguimento del grado di capitano, per meriti di guerra. 
Dopo la ritirata di Russia, dal quale rientrò indenne, decise, una volta giunto l´otto settembre, di costituire una formazione partigiana (la 52^ brigata Garibaldi “Luigi Clerici”) e di combattere operando nelle zone del comasco. Pur avendo aderito al partito comunista, il Neri unirà a se uomini di fede non comunista ed in genere non schierati politicamente, soprattutto attingendo fra molti compagni e reduci della campagna di Russia; fra i nomi che poi passeranno alla storia, ad affiancarlo c´erano il conte Pier Luigi Bellini delle Stelle (“Pedro”), sottoufficiale del Regio Esercito, ed Urbano Lazzaro (“Bill”) che passò alla storia per aver individuato Mussolini sul camion dei tedeschi a Dongo.
Ai primi di gennaio del 1945, il Capitano Neri venne catturato insieme alla sua fidanzata Giuseppina Tuissi (“Gianna”), dai soldati della Brigata Nera di Como; in quei stessi giorni, finiranno in galera altri due personaggi che poi si riveleranno determinanti per la morte di Canali… i loro nomi erano: Umberto Morandi (”colonnello Lario”) comandante di tutte le formazioni garibaldine del comasco, e Dante Gorreri (”Guglielmo”) capo del partito comunista di Como. Durante gli interrogatori eseguiti dal comandante della Brigata Nera, sia Morandi che Gorreri avrebbero “parlato”….. avrebbero fatto in sostanza la spia; il primo addirittura, pur di vedersi risparmiata la vita, sarebbe stato un autentico fiume in piena e lo fa davanti a tutti, compreso al Neri, non risparmiandosi su nulla e presumibilmente spifferando pure tutti i dettagli logistici e militari riguardanti le formazioni partigiane della zona. Il secondo invece è un caso ancora più enigmatico: come testimonierà poi il comandante della Brigata Nera comasca, Vittorio Galfetti, alcuni suoi superiori vennero a prelevare il Gorreri per fucilarlo, ma giunti al confine svizzero, gli concessero inspiegabilmente la libertà…… Perché? Aveva parlato? E se sì, quanto? Cosa mai spifferò per esser liberato così, in quattro e quattr’otto? Questo resterà per sempre un mistero……. Fatto sta che alcuni giorni dopo, il 25 gennaio, il comandante delle divisioni garibaldine della Lombardia, Pietro Vergani (”Fabio”) emana una condanna a morte per il Capitano Neri, con l´accusa di tradimento; secondo le “fonti” da lui ricevute, Canali non avrebbe resistito alle torture e avrebbe spifferato tutto. Ma una voce del genere (tra l’altro infondata) come potrebbe essere giunta fino a Vergani, se non da qualcuno che là vi era stato? E chi fra i “presenti” poteva avere l´interesse di affermare una cosa del genere, se non per deviare verso qualcun altro le proprie responsabilità e le conseguenze del tradimento? 
E´alquanto evidente, stando alle testimonianze, che possa esser stato presumibilmente uno tra Morandi e Gorreri, se non addirittura entrambi, una volta liberati, ad aver rivelato al Vergani che il tradimento era giunto dal Neri. D´altra parte Luigi Canali era ormai diventato uno scomodo testimone e la cosa migliore da fare, secondo qualcuno, era eliminarlo… Vergani, che evidentemente non aveva alcuna simpatia per Neri, tanto che in passato avevano già avuto degli scontri personali che li portarono in rotta di collisione, (per la ferrea opposizione di Neri a certe direttive di partito) preferì credere a queste voci, giunte proabilmete sia da Morandi (che lui stesso nominò nel´44 a capo di tutte le brigate garibaldine comasche al posto, guarda caso, di Neri) che dal potente dirigente Gorreri.
Fu in questo clima che venne emanata la condanna a morte per Neri, decisa da Vergani insieme a Lampredi e a Giovanni Pesce “Visone”,(colui che fu responsabile dell´attentato gappista a Piazzale Loreto nel´44) quando Canali si trovava ancora prigioniero delle Brigate Nere…. 
Ma l´assurdità e l´inconsistenza di quelle voci furono confermate anche dal comandante della Brigata Nera comasca, Vittorio Galfetti, dove, anni dopo testimonierà che Canali ebbe un comportamento dignitoso ed impeccabile, e non si lasciò mai sfuggire nulla. Insomma, non aveva per niente tradito. Ma la sua fuga rocambolesca, quattro giorni dopo, quasi come uno scherzo del destino fece innalzare e quasi confermare le accuse mossegli da Vergani e soci…… 
Una volta fuggito e preso atto che non poteva più fidarsi dei suoi compagni, dal momento che gli avevano decretato contro una condanna a morte, sarà proprio in questo preciso periodo che il Capitano Neri s´avvicinerà agli agenti dei servizi segreti inglesi, o quantomeno riallaccerà i rapporti precedentemente già esistenti, cercando di collaborare così con le truppe Alleate. Ma a Como e in tutte le zone lariane, nessuno credette al tradimento di Neri, tanto che verrà subito reintegrato nelle file della sua brigata partigiana e nominato capo di stato maggiore della 52^. Da lì a poco giungerà quel fatidico 27 aprile 1945, quando Luigi Canali incontrerà sulla sua strada colui che gli cambierà per sempre il destino: Benito Mussolini. Paradossalmente, avendo gestito la sua sorte e quella dei suoi averi (oro e carteggi) finirà per seguirne lo stesso triste e tragico epilogo……
Dopo che a Dongo venne fermato Mussolini, è proprio il Neri che fin dalla sera del 27 aprile gestisce la custodia del prigioniero, cercando più volte di portarlo in salvo (prima nella caserma di Germasino, poi a Moltrasio dove sarebbe dovuta giungere un´imbarcazione americana per portare via il Duce, infine a Bonzanigo di Mezzegra nella casa di amici, i coniugi De Maria). 
E´ lui che in quelle ore si oppone fermamente all´omicidio di Mussolini, cercando in tutti i modi di salvargli la vita e di formare un tribunale che concedesse al prigioniero il diritto a difendersi in un regolare processo. 
E´ sempre lui che si mette in contatto con gli inglesi, per dar loro le coordinate circa la posizione di Mussolini, per venirlo a prelevare e metterlo al sicuro dalle grinfie dei comunisti…. 
E´ sempre Neri che nei giorni successivi confiderà alla madre che la morte del Duce fu un atto illegittimo, del tutto arbitrario e che non doveva finire in quel modo… 
E´ il Neri, insomma, uno fra quelli che vide cosa accadde veramente quel 28 aprile del 1945 a Bonzanigo di Mezzegra, sia a Mussolini che alla Petacci, e che nulla poté più fare quando si trovò davanti sulla sua strada il comandante di tutte le brigate garibaldine, nonché numero due del partito comunista, Luigi Longo (il vero assassino del Duce?)….. 
La fatidica mattina in cui fu ucciso Mussolini, egli era rientrato a Como insieme a Michele Moretti (commissario politico comunista della 52^); poco dopo Luigi Longo, che nel frattempo era giunto a Como, salì in macchina col Moretti, Dante Gorreri e il comandante “Riccardo” (Alfredo Mordini) dirigendosi spedito nella casa dei De Maria per eseguire la sentenza di morte. Con grande abilità si sbarazzarono sia del Neri, che rimasto a piedi rientrò a Bonzanigo solo più tardi (forse un´ora dopo), che di Walter Audisio (il fantomatico colonnello Valerio) il quale quest´ultimo rimase a litigare per ore coi compagni di partito per farsi consegnare un camion (convinto ancora di andare a prendere Mussolini e gli altri gerarchi per condurli in carcere a Milano). 
Quando verso le 10:00-10:30 del mattino Luigi Canali riesce a tornare nella casa dei De Maria, accompagnato da Aldo Lampredi (rimasto apposta a Como per tenere a bada il Neri) troverà Mussolini già morto. Circa un´ora e mezza più tardi qualcuno farà fuoco anche alla povera Claretta Petacci. Alle 16:10 i corpi di Mussolini e della Petacci verranno posizionati davanti al cancello di villa Belmonte, per la sceneggiata da tramandare alla storia, dove qualcuno, forse Moretti, sparerà sui loro cadaveri “in nome del popolo italiano”…. 
Dopo quel tragico 28 aprile, il Neri non si piegherà più alle direttive di partito e cercando di far prevalere la sua onestà morale, 
s´opporrà fermamente all´uso che i comunisti vorranno fare dei documenti sequestrati a Dongo e di tutto l´oro requisito sui camion della colonna fascista. Perché, ricordiamolo, è sempre lui che scoprirà le scottanti carte che Mussolini aveva con se, ed è sempre lui che gestendo la situazione ordina di censire tutto l´oro sequestrato in quelle ore. In quei giorni, il Capitano Neri aveva capito subito ciò che i “compagni” comunisti volevano fare sia con l´oro che con le carte segrete, ovvero impossessarsene, ed è per questo che inizia un lungo braccio di ferro tra lui e l´altro esponente di spicco, quel Dante Gorreri, compagno di prigionia e presunto responsabile di quelle voci infondate sul tradimento di Canali, che aveva nel frattempo ufficialmente ricevuto i pieni poteri sulla gestione del materiale requisito (e che già aveva ordine di farlo finire nelle casse del partito comunista). Sono ormai inconfutabili le prove che in quelle ore i due arrivarono ad uno scontro verbale talmente duro, che avrebbe sancito per sempre una spaccatura e la successiva condanna a morte per Canali. In quel frangente, i testimoni udirono entrambi urlare nella sede del partito, tanto che Neri ad un certo puntò affermò: 
“…Finalmente si vedrà chi dei due ha tradito veramente!” 
Il Neri, che senz´altro si riferiva a quel che avvenne durante il loro periodo di prigionia nelle carceri delle Brigate Nere, aveva deciso di mettere in salvo tutto l´oro, che lui riteneva giustamente appartenere di diritto allo stato italiano, visto che già i comunisti giorno dopo giorno avevano iniziato a farne sparire alcune porzioni, indignando lo stesso Canali; ma allo stesso tempo intendeva mettere al sicuro pure tutti i documenti ritrovati nelle borse di Mussolini, avendo lui capito che si trattava di carte davvero importanti per la storia e per le sorti dell´Italia. 
Tutto era già stato stabilito: il 7 maggio avrebbe portato ogni cosa nella sede di una banca di Domaso, al sicuro da mani comuniste. Ma in quella banca, lui non vi arriverà mai…… Questo era davvero troppo per i comunisti, e per Gorreri in testa: non potevano più sopportare le “bizze” di questo compagno così indipendente, così ribelle, ma soprattutto così nobilmente onesto. Se avesse parlato, se avesse agito in quel modo, tutto sarebbe saltato alla luce: dalla vera morte di Mussolini, alle sue carte segrete, dall´oro trafugato a Dongo, al tradimento di Dante Gorreri…. 
La mattina del 7 maggio 1945, alcuni uomini aspettarono sotto casa Canali, che si stava proprio recando a Domaso: venne fatto salire sulla loro auto, poi sparirà per sempre…. Il suo corpo, finito presumibilmente nel lago di Como, non verrà mai più ritrovato. La sera prima di morire, Neri confidò alla madre di esser disgustato dal comportamento dei comunisti e di voler ritirarsi dalla vita pubblica, non prima però di aver messo al sicuro tutto ciò che lui stesso aveva requisito a Dongo il 27 aprile. Venne fatto tacere per sempre e la storiografia ufficiale volle far dimenticare quasi definitivamente la sua figura, così importante e così determinante negli eventi: lui non era allineato, lui era troppo onesto per vivere e per rivivere nelle storie della resistenza….. assassinato, occultatone il cadavere, dimenticato per sempre dalla storia, che lo relegherà soltanto come piccola comparsa degli eventi di Dongo….. 
Motivo di tutto questo? Quello che avete appena letto, che si può esplicitamente riassumere così:

1) Si era rifiutato di consegnare al partito comunista italiano tutto 
l´oro confiscato a Dongo, cercando di metterlo al sicuro in una banca di Domaso, per darlo poi allo stato italiano, che lui considerava l´unico legittimo proprietario. Sapeva quindi, della fine che i comunisti volevano far fare all´oro requisito a Dongo.
2) Si era rifiutato di lasciare nelle mani del p.c.i. i documenti presenti nelle borse del Duce, tra cui il carteggio “Churchill-Mussolini”, cercando di portarlo al sicuro, sempre nella famosa banca di Domaso. Sapeva quindi, dell´esistenza del carteggio “Churchill-Mussolini”
3) Aveva visto come morirono veramente Mussolini e la Petacci e quindi sapeva tutto, compreso il nome del vero giustiziere e della successiva finta fucilazione a villa Belmonte.
4) Sapeva del (presunto) tradimento di Dante Gorreri, quand´egli era in prigione con lui nel carcere della Brigata Nera comasca.

In sostanza, era diventato uno scomodo testimone di fatti inenarrabili, ed un serio ostacolo alle ruberie comuniste ed al loro strapotere che presto si sarebbe instaurato in Italia.
Davvero difficile trovare in quei giorni qualcuno che avrebbe agito come lui. Ma di fatto, per questa sua onestà e serietà, morì… 
Alla fine della sua vicenda possiamo essere fermamente convinti di una cosa: se il Capitano Neri fosse sopravvissuto a tutti quei tragici eventi, oggi la storia d’Italia sarebbe un´altra, sia nei racconti fin qui tramandatici, sia nelle conseguenze che certe notizie venute a galla, avrebbero avuto nel nostro Paese e nel resto dell´Europa…..

di M.M.

Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini

venerdì 13 novembre 2009

I CONTENUTI (presunti) DEL CARTEGGIO MUSSOLINI-CHURCHILL

Ci sono molte testimonianze, più o meno attendibili, che ci riportano quelli che possono essere i reali contenuti della corrispondenza segreta tra il Duce ed il premier inglese.
Quello che possiamo dare per certo è che Churchill si spese per convincere l’Italia a restare fuori dal conflitto, garantendo in cambio territori in Africa settentrionale e probabilmente territori francesi (vedi Nizza e Savoia) oltre che greci (le isole del Dodecanneso) e la restituzione definitiva della Dalmazia. 
La cosa effettivamente compromettente per la Gran Bretagna sarebbe perciò quella di aver promesso all’Italia territori di altre nazioni, fra oltretutto alleate degli inglesi, senza minimamente interpretare la Francia in primis, ma anche le altre nazioni chiamate in causa. Questo almeno è ciò che trasparirebbe dalla prima parte dei carteggi.
Esiste infatti una seconda fase della corrispondenza tra Mussolini e Churchill, che sarebbe ripresa nell’estate del 1944 (dopo una lunga interruzione di quasi tre anni).
Qui le cose si farebbero ancora più compromettenti. Infatti gli innumerevoli incontri avvenuti sulle sponde del Garda, nel complesso amministrativo di Salò, tra esponenti del governo della Repubblica Sociale ed emissari inglesi e americani, riportano prepotentemente alla ribalta la questione. Ad un paio di questi incontri vi avrebbe partecipato direttamente anche lo stesso Mussolini. Qui non vi sono dubbi sulle motivazioni di quelle riunioni: l’Italia avrebbe convinto la Germania a raggiungere una pace separata con l’Inghilterra e gli Stati Uniti, ponendo quindi fine alle ostilità, per unirsi tutti insieme nel contrastare la preoccupante avanzata bolscevica dell’Unione Sovietica nel cuore dell’Europa. In sostanza avremmo assistito ad un capovolgimento del fronte, con conseguenze clamorose, se non fosse che solo all’ultimo momento gli Alleati rinunciarono, perché oramai era prossimo il loro successo sulle forze dell’Asse. 
I punti principali, come ricorderà poi nelle sue testimonianze anche un ufficiale della Decima Mas, Sergio Nesi, presente ad una di quelle riunioni, erano precisamente i seguenti:

1) Legale riconoscimento dello stato della Repubblica Sociale Italiana
2) Armistizio “con condizioni” con la R.S.I. e successivamente anche con la Germania.
3) Formazione di un’alleanza tra R.S.I., Germania, Inghilterra e Stati Uniti per volgere le proprie armate contro l’Unione Sovietica.
4) Spostamento della 5^ armata americana e dell’8^ armata britannica (quelle del generale Patton e del generale Montgomery) insieme alle truppe della R.S.I. e a quelle tedesche, tutte di stanza in Italia, sui confini orientali (per fermare l’invasione di Tito e per chiudere la strada alla successiva avanzata delle truppe dell’armata rossa). 

In quest’ottica rientra anche il piano De Courten, dove truppe del Regio esercito del governo del sud Italia, in collaborazione con la Decima Mas e la brigata partigiana Osoppo (di sicura fede democratica ed anticomunista) avrebbero dovuto in gran segreto collaborare e quindi operare una difesa dei confini orientali italiani dall’invasione jugoslava delle truppe comuniste di Tito.
A confermare queste clamorose proposte ci sono, oltre che la testimonianza di Sergio Nesi, quella del principe Junio Valerio Borghese, quella di Pietro Carradori (attendente del Duce, che lo accompagnò personalmente almeno a due incontri, il 21 settembre del 1944 ed il 21 gennaio del 1945); ma anche Ermanno Amicucci, all’epoca direttore del Corriere della Sera e amico del Duce,(che testimonia di aver visto Mussolini recarsi ad incontri con emissari inglesi, iniziati già nel giugno del 1944 e dove in un occasione il Duce andò all’appuntamento da solo, guidando personalmente una balilla); oppure Alfredo Cucco, sottosegretario alla cultura popolare, che testimonia di ripetuti incontri avvenuti con autorità britanniche, già nell’estate del 1944, o ancora il generale Ruggero Bonomi, sottosegretario dell’Aeronautica Repubblicana, anch’egli testimone di riunioni avvenute in gran segreto su alcune ville della Lombardia, messe a disposizione da proprietari che avevano contatti diretti con gli inglesi. Senza dimenticare inoltre la testimonianza di Claudio Ersoch, nipote di Tommaso David (capo dei servizi segreti della R.S.I.) in cui dichiara che suo nonno gli raccontò che i cosiddetti documenti segreti di Mussolini potevano valere come arma di scambio per ridare all’Italia l’Istria, in quanto specificò chiaramente come fra quelle carte c’erano dimostrati gli accordi che tra il 1944-45 i membri della R.S.I. e quelli della Germania avevano avuto con l’Inghilterra e gli Stati Uniti per giungere ad una pace in Europa ed unirsi assieme contro l’invasione dell’Urss. 
C’è anche la testimonianza di Alberto Botta, che riporta le dichiarazioni del fratello Ercole, (il partigiano “Capitano Fede”) che fu uno fra quelli che lesse i contenuti del carteggio, dove anch’egli riscontrò fra l’altro questo tentativo di accordo fra R.S.I., Germania e Angloamericani per allearsi e combattere uniti l’Urss di Stalin.
Non sappiamo di preciso se i contenuti sopra elencati potranno avere un giorno ulteriori ed inequivocabili conferme, tuttavia è interessante riproporre l’unica lettera scritta di cui siamo effettivamente in possesso, che è assai indicativa nel confermare la presenze di accordi tra i due statisti. 
La scrisse Mussolini il 24 aprile 1945, che la consegnò poi in prefettura a Milano al tenente delle SS Franz Spoegler, incaricato di farla pervenire al premier britannico. Così si legge in questa ultima lettera:
“Eccellenza,
gli eventi purtroppo incalzano. Inutilmente mi si lasciarono ignorare le trattative in corso tra Gran Bretagna e Stati Uniti con la Germania. Nelle condizioni in cui dopo cinque anni di lotta è tratta l’Italia, non mi resta che augurare successo al Vostro personale intervento. Voglio tuttavia ricordarvi le Vostre stesse parole: -L’Italia è un ponte. L’Italia non può essere sacrificata- Ed ancora quelle della Vostra stessa propaganda, che non ha mancato di elogiare ed esaltare il valore sfortunato del soldato italiano.
Inutile è inoltre rammentarvi quale sia la mia posizione davanti alla storia. Forse siete il solo oggi a sapere che io non debba temerne il giudizio. Non chiedo quindi mi venga usata clemenza, ma riconosciuta giustizia e la facoltà di giustificarmi e difendermi. Ed anche ora, una resa senza condizioni è impossibile perché travolgerebbe vincitori e vinti.
Mandatemi dunque un vostro fiduciario; vi interesseranno le documentazioni di cui potrò fornirlo di fronte alla necessità di imporsi al pericolo dell’Oriente.
Molta parte dell’avvenire è nelle Vostre mani. E che Dio ci assista”. - Benito Mussolini

Vogliamo chiudere questo argomento ricordando ancora questa passaggio della lettera, secondo noi eloquente più di ogni altra frase:
“....Inutile è inoltre rammentarvi quale sia la mia posizione davanti alla storia. Forse siete il solo oggi a sapere che io non debba temerne il giudizio.....”
Forse proprio perchè Churchill era l’unico a saperlo, si è chiusa per sempre la bocca a Mussolini e alla Petacci, facendo sparire nel nulla le prove scottanti di quelle lettere....

Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini