mercoledì 20 aprile 2011

L'OMICIDIO MUSSOLINI: Altre versioni

Vi sono altre versioni, più o meno attendibili, che hanno in questi anni aggiunto ulteriori dubbi su tutta la vicenda del duplice omicidio Mussolini-Petacci.
Alcuni storici avanzano l’ipotesi che entrambi siano stati uccisi nel sonno, direttamente all’interno della stanza in cui erano confinati. Questa sarebbe una spiegazione per chiarire la dinamica dei colpi inferti alle vittime (balisticamente sparati dall’alto verso il basso) quindi quando si trovavano ancora distesi nel letto. Allo stesso modo questa tesi darebbe una razionale interpretazione pure al fatto che il Duce non presentava sulla sua divisa alcun foro di proiettile (questo perché si trovava appunto svestito nel momento dell’omicidio), avallando ulteriormente l’ormai consolidata certezza che il suo cadavere sia stato rivestito subito dopo l’esecuzione.
Vista l’eventuale ipotesi dell’omicidio realizzato in tutta fretta quando i due prigionieri si trovavano ancora nel letto, presumibilmente durante le prime ore del mattino, si potrebbe a quel punto supporre che in una simile circostanza gli unici che avevano l’interesse ad ammazzare entrambi, così rapidamente, lontano da occhi indiscreti e nel quasi silenzio delle primissime ore mattutine, potevano essere solamente gli agenti dei servizi segreti (molto probabilmente inglesi). Una tecnica simile apparteneva solo a loro.
Un’altra tesi venuta fuori negli ultimi tempi, avanzerebbe invece l’ipotesi che il Duce abbia tentato il suicidio, ingerendo una capsula di cianuro, inducendo così uno dei carcerieri (“Lino”) a finirlo con una raffica di mitra. Francamente però questa tesi è assai poco convincente (almeno per quanto concerne il tentato suicidio), ma la citiamo comunque per dovere d’informazione. 
Ad ogni modo si potrebbe avallare parzialmente la tesi del “Lino” giustiziere soffermandosi su quella che è stata la testimonianza di Pietro Carradori (attendente di Mussolini). Stando alle sue affermazioni, il Duce fu molto probabilmente assassinato dentro casa De Maria, proprio da “Lino”, tanto che nei giorni successivi il partigiano andava in giro a vantarsi con tutti di aver ammazzato lui personalmente il capo del fascismo. Il fatto che alcuni giorni dopo qualcuno abbia pensato a chiudergli per sempre la bocca, forse perché stava parlando troppo, fa comunque innescare qualche legittimo sospetto sul nome del vero assassino.
Sui possibili esecutori materiali si sono fatti svariati nomi: da Michele Moretti a “Lino”, da Aldo Lampredi a Luigi Longo, dal “Capitano Neri” a Bruno Lonati, da una agente dei servizi segreti inglesi a un commando giunto dall’Oltrepò pavese, fino all’inverosimile autoesecuzione tentata dal Duce stesso attraverso la capsula di cianuro. Ovviamente senza dimenticare il nome pretestuoso di Audisio, considerato ancor’oggi dalla storiografia come il protagonista ufficiale (o ufficioso) di quella tragica vicenda. A questo punto ci tornano spontanee le solite domande: quand’è che giungeremo finalmente alla conclusione di tanta omertà ed altrettanta speculazione? Quand’è che il vero nome sarà finalmente inserito in modo ufficiale sui libri di storia, in sostituzione di quello fittizio di Audisio (che attualmente funge ancora da prestanome, nonostante le colossali e imbarazzanti contraddizioni)? Quand’è che potremo finalmente scrivere la storia di quel tragico avvenimento, con l’assoluta chiarezza e certezza di non dover più assistere a boicottaggi o imposizioni dettate dalla storiografia filo-resistenziale? Quand’è che i “gendarmi della memoria” (per dirla alla Pansa) si levano una volta per tutte di torno e lasciano alle future generazioni il sacrosanto diritto di conoscere la storia nella sua interezza, nella sua obiettività e soprattutto nella sua verità vera? Chi lo sa....
Noi intanto caparbiamente andiamo avanti in cerca di risposte....

Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini

venerdì 14 gennaio 2011

L’OMICIDIO MUSSOLINI: La ricostruzione di Giorgio Pisanò

Nel 1996 esce un libro scritto dal giornalista e storico Giorgio Pisanò, che è il coronamento di una lunghissima inchiesta durata ben quarant’anni. Il clamore che suscitò alla sua uscita fu enorme. 
La sua ricostruzione si basa principalmente sulla testimonianza di Dorina Mazzola, che all’epoca dei fatti aveva diciannove anni ed era la vicina di casa dei De Maria.
Ma oltre alle dichiarazioni della signora Mazzola, Giorgio Pisanò riuscì ad ottenere anche la testimonianza di Savina Cantoni (moglie del partigiano “Sandrino”, colui che era di guardia in casa De Maria) e quella di un amico del marito, tale signor Vanotti, che aveva raccolto molte confidenze fattegli dal partigiano; il tutto contornato da altri testimoni che riportarono le mezze dichiarazioni di Giuseppe Giulini, (sindaco per molti anni di Gera Lario, paesino del comasco), che ebbe in affidamento da Sandrino un memoriale in cui il partigiano rievocava i fatti di quel 28 aprile, svelando nomi e dinamiche inerenti alla morte del Duce.
Ecco dunque un breve riassunto della ricostruzione di Pisanò:

Intorno alle nove del mattino giungono a Bonzanigo di Mezzegra, Luigi Longo, scortato da Moretti, il capitano Neri, Dante Gorreri e Piero Mentasti.
Moretti, insieme ad altri due, salgono le scale ed entrano nella stanza dove riposano Mussolini e la Petacci. Il partigiano Sandrino, che si trovava fuori sul pianerottolo e alla quale venne ordinato di rimanere fermo sul posto, testimonierà di aver sentito uno dei partigiani esclamare: “Adesso vi portiamo a Dongo per fucilarvi!”, ma subito dopo uno degli altri ribatté, gridando: “No, vi uccidiamo qui!”
A quel punto nacque una colluttazione e si sentì la Petacci gridare, poi partirono due colpi d’arma da fuoco che ferirono Mussolini al fianco e all’avambraccio destro.
Il Duce venne trascinato con forza giù per le scale e portato a basso in cortile, sempre all’interno della proprietà dei De Maria.
La Petacci, che nel frattempo s’era affacciata alla finestra di una stanza, gridò: “Aiuto! Aiutateci!” ma in quello stesso istante qualcuno l’afferrò con forza facendola rientrare.
Poco dopo, circa verso le 9:30, Mussolini venne legato al catenaccio del portone della stalla di casa De Maria, e qui Luigi Longo esploderà contro di lui una sequela di sette colpi, che lo uccideranno all’istante.
Successivamente all’omicidio del Duce, giungono a Bonzanigo anche Lampredi e Mordini, accompagnati da due dirigenti del partito comunista di Como, Giovanni Aglietto e Mario Ferro.
Intanto il cadavere di Mussolini venne sorretto a braccia da due uomini e portato giù per le stradine circostanti, nel tentativo di occultarne il corpo, o comunque di portarlo via; ma in strada c’è anche la Petacci, che piange ed urla disperata: “Ma perché? Perché? Cosa vi hanno fatto! Come vi hanno ridotto!” intralciando i partigiani che a quanto pare sembravano avere una certa fretta….
Dopo un paio d’ore, intorno alle 11:30, non appena la Petacci si allontana dai partigiani, scendendo da via del Riale verso via Albana, all’altezza di casa Mazzola, verrà improvvisamente colpita alla schiena con una raffica di mitra. Morirà sul colpo. A quel punto scoppia un putiferio: tutti i partigiani inveirono fra di loro, gridando e bestemmiando, tanto che Dorina Mazzola, nascosta dietro la tettoia di casa (e che vide la Petacci pochi istanti prima di essere colpita) udì questi esclamare: “Pezzo di merda! Guarda che cos’hai fatto!” mentre un altro, più alterato urlò: “Chi è quel pezzo di merda che ha sparato?! Da dove è arrivato? Non ti fare vedere da me, che ti lego le budella attorno al collo!” 
Le cose allora si complicano. Longo dà ordine di portare via i corpi, che puntualmente verranno nascosti dai partigiani nel bagagliaio di una 1100 nera, parcheggiata per alcune ore nel garage di un albergo lì vicino (l’albergo Milano). 
Intorno le 15:00, un capo partigiano locale, tale “capitano Roma” (alias Martino Caserotti) ordinò ai suoi di bloccare le strade e di far scendere tutta la gente delle tre frazioni di Mezzegra lungo il bivio di Azzano, per veder passare sulla via Regina, Mussolini prigioniero. Mentre i partigiani eseguirono gli ordini di svuotare tutte le case dei tre paesi, alcuni uomini uscirono con l’auto contenente i cadaveri, e dall’albergo salirono per via Albana, girando a sinistra per via Nuove; più avanti svoltarono sulla destra, percorrendo fino in fondo il viale delle Rimembranze, dove esisteva una fontanella. Qui si fermano e scaricano il corpo di Mussolini per lavarlo dalle macchie di sangue e dallo sporco di terra; l’auto intanto tornò indietro col cadavere della Petacci, proseguendo per un tratto di strada di via 24 maggio, dove si fermerà al punto di congiunzione con via delle Vigne. 
Una volta lavato il corpo, i partigiani portarono giù a braccia il cadavere del Duce lungo la via delle Vigne, dov’era in attesa l’auto col cadavere di Claretta; qui caricarono di nuovo il corpo di Mussolini nel bagagliaio e l’auto proseguirà per alcune centinaia di metri, giungendo davanti al cancello di villa Belmonte, dove i corpi furono a quel punto scaricati.
Da lì a poco arriveranno Lampredi, Moretti e forse anche Audisio, per la finta fucilazione delle 16:10, dove il partigiano “Guido” (Lampredi) si occuperà di sparare “in nome del popolo italiano” su due cadaveri…….
Possiamo stabilire quasi certamente che è proprio questa la reale ricostruzione di quanto accaduto quel lontano 28 aprile.

Fonti tratte dal libro di Giorgio Pisanò: “Gli ultimi cinque secondi di Mussolini” Ediz. Il Saggiatore

Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini