venerdì 25 marzo 2016

IL TEOREMA DEL DOTT. ALESSIANI

Il dottor Aldo Alessiani era un medico legale e perito della magistratura.
Per molti anni ha studiato la morte di Mussolini e della Petacci, analizzandone ogni minimo dettaglio (in particolare il resoconto dell’autopsia fatta all’epoca dal professor Cattabeni), grazie alle sue conoscenze in campo medico e scientifico, come pure nel campo balistico, chimico, matematico e fisico (tutto inerente a chi si occupa di medicina autoptica).
Dopo decenni di studi e analisi (iniziò negli anni ’50 ad occuparsi del caso “morte di Mussolini”) giunse agli inizi degli anni novanta a questa analisi, fondamentale per aprire uno squarcio di luce sulla verità degli eventi del 28 aprile 1945 a Bonzanigo di Mezzegra, di fatto dando una chiara indicazione scientifica, che contribuì a sbugiardare la versione ufficiale, come pure certe sentenze medico-legali stabilite dall'autopsia svolta dal professor Cattabeni.
Di seguito proponiamo l’analisi completa del dottor Alessiani.
                  
Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini



IL TEOREMA DEL VERBALE N. 7241
l'autopsia Mussolini

di Aldo Alessiani 
Nessuno voglia vedere in queste pagine una finalità contestataria con le versioni esposte accettate e non, su un evento di sì grossa portata;  in esse è racchiusa una metodica che, intesa nella sintesi di risultanze e apprezzamenti, porta a dei rilievi d'ordine puramente tecnico. Che poi generino contrasti con quanto narrativamente tramandato è frutto di quel conflitto proprio con il riscontro periziale laddove questo, autonomo da ogni influenza umana mnemonica, procede per suo conto, indipendentemente dalla verità testimoniata o dal falso congegnato o dalle confusioni ricordative generate dal tempo e dalle sovrapposizioni involontarie proprie o di altri.
La perizia non si serve di rivelazioni, testimonianze anche se giurate; non ascolta la voce dell'uomo né legge i suoi scritti pur se per fondata riverenza provengono da fonti indubitabili per cui il ripudiarli o addirittura porli nel dubbio, appare come blasfema ostinazione; sorge dalla scienza solo quando essa è libera e in una fede convinta di sé medesima, appunto perché coscientemente e doverosamente sola nel suo nascere e progredire.
E' un atto di responsabile coraggio anche, perché gli uomini adusi a fondarsi sul racconto altrui, più assimilabile in quanto suggestivo fino all'acquisirlo come dogmatismo specie se ripetitivo, rifuggono dall'applicarsi nella fatica della constatazione sempre o spesso rigettandola o avvilendola preferendo così l'invenzione o la tradizione al reale. 
E' la fatalità dei mediocri che, quando finalmente s'imbattono nell'ingegno pensante e indipendente, finiscono per gridare allo scandalo.

Aldo Alessiani

Iniziai la riflessione sulla morte di Benito Mussolini negli anni cinquanta, non certo pretendendo di giungere alle sue modalità chiaritive; in quel tempo, già medico-giudiziario e specializzando in medicina-legale, non disponevo che di una sola traccia, limitata alle successioni tanatologiche (tanatologia: esame del cadavere e delle sue vicende trasformative), emergenti dalla cospicua iconografia fotografica della mattina del 29/04/1945 quando il suo corpo proveniente da una località comasca era stato deposto in piazzale Loreto a Milano, quindi sollevato con una corda per i piedi ed appeso sulla traversa metallica, di una pensilina per carburanti. Data la notorietà del soggetto, il fine non fu altro che quello di una migliore esposizione per la enorme folla assiepatasi. Ciò che colpì la mia attenzione fu l'apparire in alcune positive di gore ematiche sugli indumenti intimi e quindi più facilmente imbibili di sangue, presenti e scomparenti ma costantemente legate per la loro genesi e dinamica alla gravità.
L'eccezionalità della posizione, a capo all'ingiù, rarissima anche nella esperienza medico-legale, permetteva di risalire al succedersi delle diverse spazialità fatte assumere al corpo prima e durante la detta esposizione.
In alcune fotografie le gore, ad esempio, avevano proceduto in via verticale nella direzione delle estremità inferiori, altre, sempre sullo stesso asse delle prime, al rovescio.
Perché avvenisse questo, il determinante era il tempo: con la ventilazione alcune scomparivano per essiccamento ed ossidazione e non erano più percepibili dalla lastra fotografica in bianco-nero, altre si manifestavano, come ho detto, in direzione verso il capo persistendo.
Conseguenze, appunto, di diverse posizioni cadaveriche, ma che essendosi configurate sulla medesima direttrice, rivelavano che il corpo, prima d'essere appeso per  i piedi, era stato magari per pochi istanti, sostenuto verticalmente, con trazione sotto le ascelle probabilmente o posto a sedere. Le gore infatti appartenevano principalmente al tessuto di una maglietta di salute a mezze maniche evidenziatasi a seguito dello spogliamento operato dalla folla durante l'appendimento, traendo gli indumenti più esterni verso il suolo.
Benito Mussolini restava alla fine indossando la citata maglietta (detta di salute), mutande di flanella a polpaccio divaricate nella loro allacciatura, calzoni alla cavallerizza con banda militare laterale e abbottonati senza contenzione di cinghia o sostegno di bretelle, calze bianche, stivali. In tal maniera, una volta disappeso, raggiunse l'Istituto di medicina legale di Milano.
In complesso la sequenza fotografica era di per sé preziosa; se essa aveva sollevato emotivamente per il suo contenuto orrido intensi sentimenti, sotto il profilo tecnico manifestavasi vantaggiosa per l'analisi bisognosa di reperti. S'imponeva subito un'indiscutibile difficoltà: la sistemazione cronologica delle singole unità, ponendole in una utilizzabile successione.
Già le riferite fasi dello spogliamento indicavano una gradualità intuitiva, empirica, che poteva anche far dubitare su lacune difficilmente colmabili ai fini interpretativi. La soluzione fu nell'accorgersi che la pensilina non era stata completamente approntata; mancava della copertura che, per una struttura del genere, a quell'epoca, non poteva essere se non di lamiera ondulata o eternit.
Era  invece a cielo scoperto pur se centine metalliche poste per il tetto mancante, sostenevano anteriormente il frontone che sarebbe diventato linea d'apprendimento con un estremo mentre con l'opposto si insitava in un muro di fondo in calcestruzzo di pari altezza: il sostegno centrale costituito da due pilastri verticali di cemento, reggeva l'intera costruzione.
Trattandosi di giornata abbastanza assolata, pur se di fine aprile, l'ombra delle centine si proiettava sul muro assumendo la funzione di una meridiana di fatto e descrivendo  tra la prima fotografia e l'ultima, un settore circolare procedente da sinistra a destra per chi le guarda.
Inscrivendo in esso settore le ombre intermedie rivelabili dalle restanti fotografie riuscivo ad ordinarle ed a leggerne migliori elementi di ricerca.
Comparivano in tal modo le prime risultanze; inizialmente il corpo di Mussolini giacque supinamente sul piano del piazzale, ortogonalmente a quello di Clara Petacci e con la testa poggiata sul petto di lei.
I due cadaveri furono rimossi per primi tra quelli dei sedici esecutati a Dongo, tutti originariamente depositati contiguamente, per l'appendimento, dopo essere stati sollevati a braccia, per una iniziale insufficiente esposizione.
Più tardivamente altri corpi del gruppo seguirono la stessa procedura, ma con alternanze più dettate dalla curiosità spettacolare che da fondate esigenze.
Il calcolo  del settore circolare riferiva che l'appendimento della coppia era iniziato alle 11,20 terminando alle 13,45.
All'obitorio giunsero diciannove cadaveri da colà provenienti, essendosi aggiunto quello di A. Starace ucciso sul posto.
Diventa subito di massimo interesse l'interpretazione fotografica a cominciar da quella dei corpi orizzontali ancora non molto manomessi ed in miglior stato conservativo.
Mussolini appare vestito con un cappotto giovanile di foggia raglan chiaro-grigiastro (in foto bianco-nera), bavero accuratamente accollato e fermato sicuramente da una spilla da balia; alla vita, una cintola di pari tessuto a fibbia stoffata.   Tale indumento andò disperso. Sottostante a questo, soltanto una camicia nera (giacca assente. Preciso subito che in occasione della restituzione alla vedova Rachele Guidi dei suoi resti corporali si accomunarono ad essi un paio di stivali, calzoni ed una giacca; il tutto è esposto in una bacheca nell'attuale ambito del sepolcreto nei pressi di Predappio).
E' decisamente da rifiutare che detta giacca sia del Mussolini o quanto meno indossata da lui al momento del trapasso. Probabilmente appartiene ad uno degli esecutati di Dongo le cui salme subirono parimenti spogliazioni durante l'impiccamento; in tal caso essa dovrebbe recare ancora i segni dei fori d'ingresso dei proiettili in superficie posteriore.
La giacca indossata dal Mussolini durante la Repubblica Sociale era guarnita soltanto di fiamme al bavero nere con fregi a gladio argentati, quattro bottoni dorati in linea verticale con impressa l'aquila romana ad ali ripiegate rampante su fascio littorio, altri quattro più piccoli simili per le tasche laterali sul petto e per quelle più grandi a toppa sui fianchi, sottili bande rosse circuenti i polsi. Null'altro.
Per il resto: calzoni alla cavallerizza con ampie bande nere con in mezzo riga argentata, senza passanti per cinghia, falda ventrale alta per tre dita trasverse, non bretelle, stivali di cui il destro posteriormente aperto fino al calcagno.
Quanto al corpo della Petacci così giungeva a Piazzale Loreto: tailleur scuro (forse marrone) a grandi quadri ed interamente felpato (tale vestito era già apparso indossato dalla donna in una nota foto che la raffigurava sotto l'arco di una porta di Villa Fiordaliso sul Garda), camicetta a rete (grande-tulle) bianca a vasti ricami floreali, chiusa in alto da nastrino scuro a farfalla; per fondo: seta, parimenti bianca. Calze ben tirate da giarrettiere (presumibilmente bustino).
Le scarpe di numero 35 di foca, scure, a suola ortopedica, con il copricapo realizzato con lo stesso tessuto del vestito a mo' di bustina militare, rimasero in zona di decesso, notoriamente tramandateci per rotocalchi.
L'analisi ancora nota per il Mussolini, sempre in positura orizzontale, la chiara esistenza, sull'occipitale destro (nuca), di ampia lesione stellare a margini cutanei sfrangiati per colpo d'arma da fuoco, necessariamente perforante quel piano osseo per fuoriuscita di sostanza cerebrale in caduta sulla citata camicetta ricamata della donna.
Il carattere di siffatta lesione è proprio da arma aderente appunto per l'aspetto stellare dovuto ai gas d'esplosione interposti tra la pelle ed il piano osseo. L'autopsia lo descriverà come avvenuto post-mortem; proiettile ritenuto intracranico perché non ravvisabile in uscita sul capo nelle foto iniziali, sia per direzione tipica o atipica (deviazione intracranica).
Tale colpo d'arma da fuoco è da escludersi come esploso in Piazzale Loreto appunto perché salvo lo spessore intermedio del corpo femminile sul quale il capo poggia è distante di pochi centimetri dal suolo; sarebbe stato impossibile presumere un'arma seppur corta, e per giunta verticalmente, inserita tra il pavimento e l'occipite.
Per contro, tutte le altre lesioni descritte in autopsia sul capo del Mussolini e d'arma da fuoco, sono di folla.
Ancora in tale frangente, il cadavere di Mussolini fu solo oggetto di dileggio, ponendogli tra le mani l'asta di un labaro della associazione mutilati ed invalidi di guerra (si era erroneamente detto che fosse l'insegna della brigata-nera Aldo Resega) ed un giornale che a mò di cartoccio conteneva delle carote.
Trascinata sotto la pensilina, la salma veniva issata per la prima volta, senza modificazione del vestiario analizzato, trascinando il labaro ben sostenuto dagli arti superiori ancor rigidi.
I lembi del cappotto si ribaltavano sulle spalle per gravità mentre il furore della plebe stava per giungere alla esaltazione.
La sistemazione nel tempo orario delle immagini, permetteva così anche di seguire le azioni della folla; per il corpo di Mussolini la spogliazione, durante l'appendimento e soltanto, avviene per trazione ovviamente verso il basso; altrettanto per gli altri appesi (alcuni resteranno addirittura a torso nudo).
Per la Petacci, no; c'è un relativo rispetto, anzi, immediatamente dopo l'issamento, la gonna del tailleur, rincalzandosi e scoprendo così le pudende che si disse in nature, fu ricomposta alla meglio nei suoi lembi.
Manifestavasi altresì l'aprirsi a farfalla dello stivale destro del Mussolini, dal polpaccio alla caviglia, contrariamente al sinistro, parimenti stretto dalla corda di sostegno, rimasto nella sua integrità.
In difetto della risaputa autopsia di questi, a me apparsa tardivamente negli anni sessanta, non potevo fare di più se non, con molta cautela e riserva attingere a quelle successioni delle gore ematiche riferite e che, se non altro, potevano ormai essere contemplate in sequela.
Un artifizio ausiliario d'accordo e che però quando diventa valido iniziariamente, offre la sua utilità, specie poi quando comparato con il successivo riscontro autoptico, rivela una certa fondatezza.
Che le gore ematiche siano importanti è fatto acclarato fino al punto di doverle descrivere in ogni ispezione tecnica di un cadavere rinvenuto, per dirimere il dubbio di modificate positure di esso sì da far dubitare l'esistenza di sue manomissioni per fini subdoli o innocenti e comunque confondenti. In tale stadio, il Magistrato interviene ancor prima di far procedere ad ulteriori acclaramenti. Nessuna validità probativa dunque al fine di interpretarle sostitutivamente ad una autopsia; tuttavia, nella specie, si verificò la eccezionalità di così inusitati cambiamenti volontari e documentati che, come detto, assommano almeno a tre: lo stare in posizione supina sul selciato dei corpi, quella all'impiedi sebbene temporanea, infine a testa all'ingiù.
A tutto ciò devesi aggiungere la fortunata combinazione di essere stati fotografati in bianco e nero e non a colori. Cerco di chiarire: se noi perforiamo un foglio di carta rettangolare ed al centro con la punta e soltanto di una penna stilografica, facendo da questa fuoriuscire una goccia d'inchiostro, questa si disporrà, per gravità, lungo la verticalità dal foro verso il basso; una prima foto recepirà questa fase di linearità modificantesi nei suoi comuni canoni d'assorbimento. Se ruotiamo il foglio di 180 gradi, una seconda goccia discenderà similmente in direzione opposta talché sommerà le due immagini in una unica retta. Se però la seconda goccia discende dopo un certo tempo, tenderà a sbiadire l'effetto della prima; una terza foto specie se scattata a distanza, impressionerà solo la più recente metà della linea. Comparando le immagini in tempi diversi realizzate, sapendo trattarsi di liquido unico tracciante,  intuiremo accostando gli estremi in opposizione delle due semirette che necessariamente sono sorte in una unica fuoriuscita ovvero da quel foro che avevamo ignorato, esattamente localizzandolo per costruzione sulla base dei due effetti o colà dove l'aveva provocato la punta della penna, prima dell'intervento fotografico.
Analogamente accade su un tessuto chiaro se macchiatosi verticalmente da sangue; una fotografia immediata ne fisserà l'immagine se allo stato fresco (umido) nella direzione della gravità (dal torace ai piedi per esempio); se giriamo il corpo, l'emissione continuerà (dal torace verso il collo). I due estremi fanno dunque immaginare una sorgente di sangue, invisibile perché coperta dai tessuti dei vestimenti, quale quella di una lesione sanguinante d'arma da fuoco, laddove essi si toccano.
Considerando che il corpo umano è diviso in due volumi separati dal diaframma (torace-addome), le ferite toraciche sanguinano più precocemente essendo per gravità pertinenti del volume  più piccolo; più tardivamente le addominali interessanti il volume più grosso. Ciò ci servirà nel fine ricostruttivo indiziario delle lesioni d'arma da fuoco nella Petacci per la quale l'ausilio autoptico non esiste così come una descrizione necroscopica sia pure en passant.
L'artifizio ci sarà di dovere per la suddetta, per raggiungere una indiziarietà ausiliaria nel contesto di una credibile collateralità nell'evento storico in trattazione. In effetti, se la pubblicazione tardiva del verbale d'autopsia di Mussolini, superò di gran lunga l'iniziale e faticoso mio sforzo concretizzandosi con simile metodica, i miei risultati, dopotutto, furono validi per ravvisare che la morte di questi era stata provocata da due armi di cui una a colpo singolo ed una a raffica. Il tutto con disparate direzionalità.
Commisi però l'ingenuo errore di accettare la tesi convenzionale di Villa Belmonte.
In verità i miei limitati risultati, non potevano nella loro misurata precarietà, concedermi inattese in quanto allora inattendibili estensioni e scoperte.
Ho già specificato come il presente lavoro, per il suo rigore scientifico, si basi solo  su tracce di rilevanza tecnica; circa la prima, la sequenza fotografica di piazzale Loreto, ne ho fatto, per sommi capi, menzione; quanto alle  tracce rimanenti, un cenno fugace: la seconda sequenza fotografica relativa ai corpi dei disappesi e trasferiti all'Istituto di medicina legale di Milano, il verbale autoptico ufficiale, il verbale segreto precedente, la relazione aggiuntiva del Medico Settore, il verbale di ricognizione dei resti mortali di Mussolini redatto da altro Medico Settore nel 1957 dopo essere stati celati per anni sotto l'altare di una certosa e finalmente restituiti alla vedova.
Per le fotografie della seconda serie (Ist. medicina-legale) e di importanza determinante, ne farò studio particolare. Al momento soffermiamoci sul verbale autoptico ufficiale e di cui ebbi conoscenza tardivamente (1965).
Porta il numero 7241; la data quella del 30/04/45. Inizia con l'usuale preambolo: la salma è distesa sul tavolo anatomico, il riconoscimento per la notorietà del soggetto, facilissimo. Le vicende traumatiche (che appartengono agli istinti emersi in piazzale Loreto) avevano profondamente trasformato la struttura cranica per precipitazione, colpi d'arma da fuoco, talché la stessa misura corporea risultò approssimativa (167 cm circa); il peso 72 Kg.
Il volto presentava contusioni, l'occhio sinistro enucleato e privo del suo umore interno.
Più interessante la riferita rigidità risolta alla mandibola e persistente agli arti; assenza di macchia putrefattiva sull'addome (la manifestazione trasformativa che è in corrispondenza della regione appendicolare).
Segue la descrizione delle lesioni pre-mortali e post-mortali: tutte d'arma da fuoco.
Un lungo verbale, quasi puntiglioso sia per l'esterno che l'interno del cadavere; un referto tale che presuppone una autopsia laboriosa che ad occhio e croce, tra l'inizio, la fine, la ricomposizione e cucitura (spagatura) della grande falla giugulo-pubica, richiede un tempo di almeno tre ore se espletata senza pause.
Il Medico Settore, allora aiuto del titolare dell'Istituto Universitario, descrive la salma del Mussolini come "preparata" sul tavolo anatomico. L'occhio del profano scorrerebbe lo scritto senza soffermarvisi.
Ho già puntualizzato che l'operatore-settore, prima dell'intervento, dovrebbe descrivere il cadavere così come gli si presenta, lordo, ignudo, vestito, scomposto; elementi preziosi potrebbero esistere in una muta narrazione di vicissitudini emergenti per tempi, luoghi, modalità, azioni, occasionalità, corrispondenze particolarmente esistenti o non con quel che si constaterà in fase settoria (artefatti simulanti o dissimulanti). Le gore ematiche appartengono a tale fase (manomissioni, spostamenti , posizioni); l'ho già detto.
Non farlo ed agire su una salma già preparata vuol dire aver commesso una grave incompletezza per nulla giovevole ai fini della indagine più importante: la modalità della morte e le sue modalità.
Il Medico Settore invece si trovò accanto a quel morto solo quando i tecnici-preparatori oltre a denudare il cadavere lo avevano lavato (spugnatura) componendolo sul tavolo anatomico; erano così eliminate note di raro valore degne di doverose osservazioni e riflessioni.
Ma con la pubblicazione universitaria del successivo agosto (curiosamente apparsa in una miscellanea di clinica chirurgica), il Medico Settore volle rincalzare che l'autopsia era stata più che bastevole per testimoniare l'esecuzione avvenuta e narrata nella conferma delle rivelazioni fatte a pubblico dominio.
In altri termini una puntualizzazione non essendosi inizialmente espresso in un supporto tecnico confermante.
Sorvolò però su l'ora di detta esecuzione così come aveva fatto quattro mesi prima omettendo l'ora d'inizio dell'autopsia nel preambolo tecnico del verbale 7241; infine dimentica uno dei nove colpi d'arma da fuoco pre-mortali (quello al fianco destro) e che aveva tecnicamente descritto.
La mancanza di orario dell'inizio autoptico viene così a rendere non possibile, attraverso i segni consecutivi della morte (abbassamento della temperatura nella specie impossibile nel riscontro, rigidità e rilasciamento) che preludono alla trasformazione colliquativa e putrefattiva.
Si poteva fare un accenno, per una migliore puntualizzazione alle macchie da stasi colorativa (ipostasi) altro fenomeno consecutivo che nella loro fissità nelle parti corporee a contatto con le superfici corporee dovevano pur esserci e stabili dopo la quindicesima ora dal decesso. Non apprezzamento nel merito.
La limitazione ci obbliga, con il rilasciamento denunciato della mandibola e solo a questa poiché il rigor viene ad essere dichiarato persistente agli arti (si tace ad esempio per il collo prima di pensare a quelli), ad ammettere che unicamente questo è l'unico fenomeno di risoluzione (rilasciamento) essendosi completata la fase primitiva della contrazione rigida per tutto il corpo.
Esiste una subordinazione naturale tra la rigidità e la risoluzione; la seconda interviene quando la prima ha compiuto sé medesima ed in modo costante e schematico. Tuttavia c'è una identità di procedura: l'una e l'altra iniziano dai muscoli del capo, pervadendo quelli del collo, del dorso, degli arti superiori, inferiori, piedi.
Segni approssimativi e non categorici, spesso infidi; più ad esempio la muscolarità del deceduto è rappresentata e più è la tenacità della contrazione; più la morte è repentina, più essa è precoce. Per converso meno la muscolarità è concreta (senilità, defedamento, fetalità) più tardi compare e prima scompare; il freddo la fa persistere mentre il caldo e l'ambiente umido, l'accellerano.
L'esattezza di rilievo cronologico deduttiva della morte, è impossibile; tuttavia se è conosciuta la data del decesso perché certa l'esistenza in vita nel giorno innanzi, è maggiormente configurabile l'ipotesi oraria retrograda.
Risultando che il Mussolini in data  27/4/45  era certamente vivo e che la macchia putrefattiva era assente sull'addome viene a concretizzarsi un tempo grosso modo un calcolo, per eccesso, compreso tra la mezzanotte del 27 e l'ora di inizio della autopsia nella sola successione (non essendoci altri dati) di rigidità-rilasciamento muscolare.
Poiché l'autopsia con certezza appartiene al mattino del lunedì 30/4/45 (più il tempo intercorrente tra il decesso e l'autopsia è breve, più la precisabilità retrograda ha fondatezza), ne consegue che tra la mezzanotte del 27 ed il mezzogiorno del 30 (arrotondamento sempre per eccesso), intercorrono 60 ore (sabato 28 aprile morte - domenica 29 Piazzale Loreto - lunedì 30 autopsia, nella espressione 24+24+12 che è nei limiti volutamente massimi d'orario).
I parametri odierni accettati per la durata della rigidità cadaverica, vanno da un minimo di 36 ore alle 48 (il più usuale è il secondo); quanto alla risoluzione quello di 72 (sempre dalla morte) come limite estremo.
Se il Mussolini fosse morto alle 16,20 del 28/4/45 così come asserito, in realtà (su parametro 48) alle 16,20 del lunedì sarebbe stato ancora in rigidità; quindi il rilevamento della mandibola rilasciata, già anticipa di molte ore la fase totale di quella. Dunque qui il parametro 48 ore, schematicamente, è da abbandonarsi.
Vediamo con l'altro di 36: sempre partendo dalle 16,20 del sabato, il compimento del rigor s'accosterebbe alle 4,30 del lunedì, dopodichè il tempo restante è di risoluzione. Concediamo ad occhio e croce un paio d'ore per il rilasciamento della mandibola, ne viene che l'autopsia è stata iniziata alle 6,30 del lunedì 30.
E' merito eccezionale del Prof. Sergio Abelli-Riberi di Torino aver scoperto presso l'Istituto di Medicina-legale di Milano un altro verbale, non ufficiale e con tutta presumibilità precedente a quello di pubblico dominio. Il numero del verbale è lo stesso; varia nel testo, dopo il solito preambolo di dovere, la descrizione del cervello, assente nell'altro. L'importante è che reca l'ora autoptica: 7,30.
Considerando che in data 30/04/45 sussisteva l'ora legale, in realtà l'operazione settoria cominciò alle 6,30 solari. Se così, il Medico Settore avrebbe assunto il parametro 36 e la morte alle 16,20 del sabato 28 diviene, medico-legalmente assumibile.
Ma allora, perché tacere l'ora autoptica sul verbale ufficiale se tutto era chiaro e legittimava le narrazioni pubblicizzate?
Possibile una distrazione omettente in un verbale di siffatta importanza 'storica' e redatto in un istituto universitario di livello quale quello medico-legale di Milano? Caso mai era il secondo verbale a dover essere perfetto; si può ammettere una lacuna nel primo, ma quello è diverso pure nel contenuto.
Per quell'epoca, in verità, il termine di 48 ore era il più universalmente accettato; altri, più brevi, potevano ingenerare problematiche disagianti; uno scrupolo eccessivo che lo si doveva correggere abbreviandolo, concedendo alla risoluzione (molto più estesa e non celabile alle molte testimonianze in sala anatomica) un effetto minimo ovvero la rigidità risolta alla mandibola e soltanto.
Si realizzava così un parametro '48' monco di ben otto ore ma se, in tali condizioni, si fosse messa l'ora autoptica, la morte di Mussolini non sarebbe stata più alle 16,20 del 28/04/45 ma alle 8,20.   
Che cosa stava accadendo?
Passiamo ora alla seconda serie fotografica: quella in cui i disappesi sono allineati supini sul piano di un corridoio in detto istituto. Tale depositazione atipica fu dovuta alle circostanze; i vani sotterranei dell'edificio erano già stracolmi di cadaveri; fu una necessità di spazio sistemarli colà.
Due foto, indubbiamente scattate ravvicinate, mostrano i corpi della Petacci e del Mussolini, strettamente affiancati; per dileggio vengono posti  a sedere con le spalle al muro; il capo di lui è sorretto dalla mano di un uomo perché ciondola ed il braccio sinistro circuisce il destro di lei in galante sostegno.
Malgrado la stretta sequenza, l'angolazione delle due braccia, cambia spontaneamente per gravità. Una cosa è certa: le due foto, essendo il cadavere del Mussolini, seppur parzialmente, ancora vestito, sono precedenti alle 6,30 del 30/04/45 ora autoptica; non si può fare una autopsia su un cadavere vestito né nella specie fu rivestito perché, come dissi, gli indumenti indossati visibili (i calzoni soprattutto) vennero restituiti alla vedova Guidi.
Pur non sapendo se le due foto appartengono al pomeriggio del 29 o alle prime ore del 30 la loro dimostratività è incontrovertibile: la rigidità prima delle 6,30 del 30/04/45 era pienamente risolta per il collo, per i muscoli del dorso e quanto meno per gli arti superiori altrimenti non si sarebbero potuti realizzare siffatti lugubri atteggiamenti.
Non dunque una risoluzione iniziale limitata alla mandibola, ma di molto avanzata; quasi totale se non totale. Con il parametro '48' quelle immagini avrebbero potuto concretizzarsi nel martedì (primo maggio) ovvero circa 24 ore dopo il seppellimento. Un rilasciamento consimile, indica un lasso di tempo di dodici-tredici ore almeno dopo la rigidità esitata; dobbiamo allora ripiegare sul parametro '36' (rigidità corta) più tredici, uguale a 49.
Se l'autopsia è delle 6,30 del lunedì 30/04/45 la morte deve necessariamente risalire all'incirca alle 5,30 del sabato 28/04/45. Rigor mortis in tal caso immediatamente sopraggiunto come nei decessi per causa-violenta ed in stato di fatica fisio-psichica configurandosi nei supremi momenti quasi in una statuarietà degli ultimi spasimi e gesti (rigidità catalettica).
Né le vicende di linciaggio possono avere influito a mio parere in una accelerazione risolutiva; dopo lo spogliamento del cappotto e della camicia nera per trazione verso il basso, gli arti superiori potevano evidenziare una angolazione maggiore che non nell'iniziale appendimento quando quegli indumenti erano indossati. Siffatta modificazione subordinata alla indagine specifica, risulta molto modesta; per i muscoli del tronco poi, ogni concausalità esterna è da scartare. Le stesse articolazioni dei gomiti, nelle due fotografie citate, indubbiamente manifestano una escursività di completezza.
Mettiamoci nei panni del Medico Settore: se avesse denunciato l'effettivo orario delle 7,30 (alias 6,30 ora solare), la seppure iniziale risoluzione della mandibola avrebbe condotto ad un calcolo retrogrado di 48 ore di rigor più, quanto meno, un'altra ora per il rilasciamento: totale 49. Il decesso (già lo dissi) si riconduce alle 6,30; ecco perché sorvola sul trattar dell'ora della morte anche nella monografia illustrata dell'agosto '45. Resta tuttavia una carenza non veniale per un medico-legale il non esprimersi sull'ora del decesso quantunque presuntiva; volerne giustificare l'omissione diventa tentativo non onesto di facilissima identificazione intenzionale.
Sul capo sono descritte contusioni: penso che si sia trattato di lapsus poiché tali lesioni sono vitali. Si dovrebbe pensare a colpi inferti da altri che si oppongono alla soluzione del Medico Setore dell'agosto 1945 improntata a una dimostrazione di indubitabile esecuzione capitale nel pieno rispetto delle modalità di tradizionale osservanza (concetto di evento puramente legittimistico).
D'altra parte il capo del Mussolini gli si presentava come di più inusitatamente traumatizzato fino allo sconvolgimento dei tratti e delle strutture per poter ancora ravvisare su di quello segni così minori.
L'interesse maggiore appartiene per questa autopsia per i colpi d'arma da fuoco in vita caratterizzati dall'orletto contusivo-emorragico attorno al foro d'entrata.

Sono Nove:   

uno sul fianco destro come ingresso, sopra l'osso iliaco e che fuoriesce dalla parte supero-esterna del gluteo omolaterale,  in modo tangenziale assumendo su sagoma umana verticale, un angolo di 45 gradi.
Un altro sul margine esterno dell'avambraccio destro esitando (si tenga presente che tutto ciò è descritto su cadavere orizzontale, supino, ed in posizione di attenti) più in basso, all'interno, con breve percorso, senza ledere l'impalcatura ossea. L'angolazione di questo è minima, una ventina di gradi se non meno: un percorso non tangenziale per una inezia.
Terzo colpo è quello che trafigge la limitata carnosità superiore alla clavicola destra con risparmio di essa: 180 gradi su sagoma eretta.
Quarto è quello sotto la parte destra del mento e sul piano compreso tra mento e gola con direttrice dal basso verso l'alto; qui il proiettile non ha un esito esterno come era da attendersi per la volta cranica (intatta nelle prime foto antecedenti all'issamento) ed è necessariamente ritenuto dalla base cranica (polifratturata nell'esame dei resti). Novanta gradi perfetti su sagoma eretta.
Quinto in entrata sul margine destro dello sterno, alto (secondo spazio intercostale); ha un percorso obliquo perché esce nella regione del dorso verso la  scapola destra: 45 gradi sul piano intra-toracico. Sarà il responsabile della rottura aortica.
Sulla spalla sinistra, verso il limite esterno, un complesso di quattro colpi d'arma da fuoco molto ravvicinati tanto da rammentare un quattro di quadri coricato: 180 gradi sul piano intratoracico per fuoriuscita sul dorso abbastanza in linea.
Post-mortale invece è quello dell'occipitale destro di cui ho già parlato per averlo riscontrato fotograficamente; è descritto come tale in autopsia. Il Medico Settore precisa nella stessa regione, ben due colpi ravvicinati post-mortali.
In conclusione: eccezion fatta per i colpi alla nuca, quelli pre-mortali manifestano una chiara polispazialità per angolazioni che testimoniano una chiarissima poli-spazialità per angolazioni da inclinazioni diverse per armi sparanti come se il bersaglio fosse estremamente mobile in tempi successivi brevissimi.
Abbiamo così il quadro: cinque colpi isolati tra di loro in polidirezionalità nell'emisoma destro e quattro nell'emisoma sinistro ravvicinatissimi tra di loro peculiari di un'arma a raffica molto a contatto del bersaglio per l'area ristretta realizzatasi.
Mobilità del bersaglio se questo è rappresentato da un uomo all'impiedi o mobilità comune del leso e del feritore in fase di colluttazione per sottrazione del leso alla intenzionalità del feritore (morte del non consenziente).
Il colpo sotto il mento, in piena verticalità di tramite, esclude il bersaglio all'impiedi, quello al fianco, che simula addirittura un colpo sparato dall'alto, una orizzontalità dell'arma.
La soluzione è quella di una colluttazione con tentativo di disarmo del soccombente, iniziale.
Ricostruendo così la dinamica: il colpo al fianco è conseguenza di disarmo di mano impugnante una pistola e con torsione verso il basso ed allontanamento verso l'esterno; una immagine non nuova per la medicina legale; segue la caduta a terra dei due per trascinamento da parte del soccombente che si trova vis-à-vis con l'aggressore. Nella caduta, il sottostante, istintivamente estende il braccio destro, forse in cerca d'appoggio, abbandonando la presa dell'arma con la mano destra che si rinnova con la sinistra al fine di evitare che la mano dell'aggressore porti l'arma verso gli  organi vitali del corpo; anche qui allontanamento forzato e parte il secondo colpo sul braccio esteso e lungo di esso in tangenzialità.
L'opposizione del soccombente comincia a cedere senza però cessare; l'arma si sposta sulla regione sopraclaveare di destra sparando, quindi più al centro del corpo, sotto il mento, ed è ancora fuoco; la pallottola incontrerà la dura resistenza della spessa base cranica dopo aver perforato il palato, determinandone la polifratturazione.
Il soccombente cede ma resta ancora sul polso dello sparatore che, con ultima angolazione obbligata, fa partire l'ultimo colpo, quello sulla parasternale destra con probabile deviazione verso la scapola sinistra del proiettile da resistenza ossea costale o vertebrale.
Se osserviamo siffatta serie di tre colpi, sull'avambraccio destro esteso in alto, quello sulla zona sopraclaveare destra come il quarto sotto il mento, vengono comunemente a trovarsi tutti alla stessa altezza e su una comune linearità.
Quello sulla parasternale è strettamente zonale perché a cinque dita trasverse sotto il quarto. Quanto ai colpi della spalla sinistra così contemplabili nella loro minima area sono senz'altro di raffica a bruciapelo; è caratteristica delle mitragliette la distanzialità dei loro effetti già nel modesto allontanarsi del bersaglio.
Potrebbero essere stati esplosi da persona intervenuta a dar manforte allo sparatore di pistola e che per non colpirlo ha indirizzato la raffica sulla spalla sinistra del soccombente, unica regione di questi, ancora scoperta durante la colluttazione oppure per altre contingenze che fanno presupporre nella fattispecie la presenza e l'intervento di una quarta persona (C. Petacci), ragione volontaria o involontaria deviante l'arma in eccentricità. Tornerò su tale ultimo tema (l'unico improntato a probabilistica per carenza di rilievi di certezza) considerando la morte della Petacci nella contemporaneità dell'azione illustrata.
Da quanto detto viene implicitamente a sussistere la dinamica dei colpi esplosi quasi a contatto se non addirittura; con la ricostruzione per dinamizzazione dell'evento necessariamente sorge tale risultanza.
Fermarsi solo sull'apprezzamento della polispazialità dei colpi d'arma da fuoco inferti al Mussolini e dunque non confortanti una esecuzione capitale è ingiusto verso di me e quest'opera; andiamo dunque ad indagare altre componenti dimostrative: le più importanti.
Qui, per l'epoca recente in cui avvenne il fatto in esame, le armi erano con cariche deflagranti a polveri cosiddette bianche (ovvero con ridotto carattere ustionante e affumicante a differenza delle antiche nere); la vicinanza dello sparo determina per le bianche un miglior schematismo didattico una volta raggiunto il bersaglio: foro d'ingresso con intorno ustione e contusione da gas (3-5 cm), affumicatura (fino a 10 cm), tatuaggio sulla cute da particelle incombuste di polvere (fino a 30-40 cm); il tutto attorno a quel foro  escoriato-emorragico in una congerie grossolanamente concentrica. Nell'autopsia citata nulla viene riferito e verbalizzato oltre ai fori di entrata dei proiettili e la loro caratteristica pre-mortale (alone escoriativo-emorragico) che è l'unica indipendente dalle distanze del colpo esploso; l'alone detto può costituire un anello di 3-7 millimetri e resta sempre riscontrabile perché non asportabile meccanicamente o chimicamente.
Cancellabile è invece l'affumicatura, concentrica al foro come l'alone ma più volubile a causa delle distanze; volubilità determinata dalla combustività delle polveri (oggi ancora più povere di scorie affumicanti del 1945) anche; indelebili invece le particelle incombuste penetranti nella cute (o tessuti d'indumenti) e responsabili di un tatuaggio fatto misto all'alone di affumicatura asportabile con una spugna inumidita. Ma anche il tatuaggio è subordinato alla modernità dell'esplosivo ed alle sue fecce superstiti.
La preparazione di un cadavere prima di deporlo sul tavolo settorio è competenza di manovalanza tecnica non medica come lo spogliarlo e il lavarlo sia pure con acqua fredda; questo atto non è per idrante ma di solito per spugna che con facilità rimuove tracce labili compresa l'affumicatura di colpo d'arma da fuoco.
Ecco perché l'ispezione attenta del corpo prima dell'autopsia è di attenta competenza sia per il suo vestire, nudità, atteggiamenti, residui ambientali, gore ematiche nella eventualità di manomissioni, spostamenti occasionali o intenzionali.
Soltanto la preziosità della sequenza fotografica di Piazzale Loreto, quando ancora non insiste demolitivamente sulle salme appese, ci rileva che in topografica corrispondenza delle lesioni pre-mortali autoptiche sugli indumenti, non esistono (manica destra del cappotto, spalla destra del medesimo, parte alta dei calzoni) altrettante sdruciture più o meno a lembo che avrebbero dovuto accompagnarsi alla penetrazione di proiettili esplosi a distanza o con queste con segni di affumicatura o di bruciatura con squarci e lacerazioni per i colpi ravvicinatissimi.
Nei colpi ravvicinati per gli indumenti specie se di consistenza come nei cappotti, le alterazioni sono vistose per bruciature a coccarda o a raggiera a margini carbonizzati, per squarci da pressione gassosa interpostasi tra il corpo e l'indumento (l'uscita dei gas dalla canna durante lo sparo determinano pressioni altissime considerate in più centinaia d'atmosfere).
Nella specie, tutto ci fa pensare ad un rivestimento del cadavere.
Possiamo anche definire tale evento, dettato da una instaurata rigidità cadaverica e contemporaneo al calzare degli stivali di cui uno, per abnorme atteggiamento del piede, non chiudibile posteriormente e recante i segni del forzamento perché non restasse aperto (in bacheca della cripta cimiteriale). Su tale premessa possiamo fare pure un calcolo approssimativo attenendoci ad un orario minimo post-mortem di sette ore per il rigor comprendente la sua discesa verso gli arti inferiori: il rivestimento, considerando la morte intorno alle 5,30 del 28/04/45 non poteva essere realizzato se non dopo le 12,30 di quel giorno.
Come si vede, anche qui ho scelto valori di massimo rigore per la riduzione delle oscillabilità d'errore, sottraendomi per quel che ho potuto alle approssimazioni onde evitare impugnazioni e contestazioni qualora avessi usato labilità più elastiche ma pur sempre rientranti in confini ineccepibili perché scientificamente accettabili.
Abbiamo osservato come i limiti perforativi intrasomatici di un proiettile, si accompagnino oltre all'alone escoriativo emorragico, all'ustione, al tatuaggio, all'affumicatura ecc. e che essi possono consociarsi a seconda delle circostanze dinamiche; ma tutti questi elementi hanno ancora un altro comune comportamento laddove l'arma ha colpito molto da vicino (sempre questione di centimetri).
Così a canna perpendicolare, sia l'alone escoriativo, l'ustione, il tatuaggio e soprattutto l'affumicatura, saranno in immagine concentrica rotonda; quando l'arma è in inclinazione, l'immagine assumerà figure a cul de sac (piriformi) e dunque eccentriche.
Ciò è visibile nella serie fotografica seconda (quella obitoriale) per il colpo al mento (arma perpendicolare al piano) rotondo come una grossa moneta per alone d'affumicatura, piriforme (con il cul de sac verso il palmo della mano) quello sull'avambraccio destro per arma tangenziale, quasi longitudinale all'arto, in retro-rotazione per caduta a terra.
Gli stessi aloni escoriativi senza tali concomitanti segni perché il colpo fu sparato a distanza, nella loro ridottissima rilevabilità, ubbidiscono agli stessi canoni di pura formulazione fisica. Resta di estrema intuibilità che se l'alone d'affumicatura è rintracciabile su cute, essa non poteva essere coperta da indumenti che avrebbero interferito l'effetto del colpo ravvicinato in una intercettazione quasi totale per consimili concomitanze. E' implicito che per Mussolini, o l'alone di affumicatura pertinente alle lesioni premortali (e dunque inferte a bruciapelo o quasi) non esisteva e non poteva essere descritto in verbalizzazione o se non verbalizzato perché non più ravvisabile; non esiste la descrizione dello status del cadavere quale ispezione pre-autoptica, che avrebbe dovuto descrivere anche i vestimenti nelle loro alterazioni tissutali (basti pensare all'avambraccio destro già citato e che trapassato in entrata ed uscita avrebbe dovuto evidenziare macroscopicamente e senza dubbi, sulla manica del cappotto topograficamente corrispondente, particolari segni se non altro per la ristretta area tissutale compromessa). La ravvisabilità dell'alone d'affumicatura (detto anche comunemente nero-fumo), nelle fotografie pre-autoptiche converge in un tutt'uno la dinamizzazione dell'evento colluttatorio in soggetto praticamente in nudità con la integralità degli indumenti usati per una vestizione post-mortale difficile ed affrettata dettata da circostanzialità inattese ed imprevedibli. Discutiamo ora sul cadavere della Petacci; certamente non fu sottoposto ad autopsia e l'inumazione avvenne con indosso il vestito con il quale la vediamo ancora attaccata al frontone metallico della pensilina.
La concordanza degli atteggiamenti per rigidità, prima e durante l'appendimento nonché nelle due foto della seconda serie (Ist. med. legale) la cui importanza è determinante (cadaveri seduti affiancati in posa di sottobraccio) è piena per i detti fenomeni consecutivi.
Possiamo non aver caso mai certezza se la donna e l'uomo morirono nella stessa località o luogo, ma la fenomenologia post-mortale ha una grossa indiziarietà per contemporaneità di decessi (quindi anche per la Petacci lo stesso canone di parametro "36").
Si riaffaccia così l'importanza di quegli artifizi iniziali (necroscopia indiretta d'accostamento) che già avevo elaborato in carenza della autopsia documentata del Mussolini; in posizione supina sul Piazzale Loreto, non appaiono (appunto perché non configuratasi la gravità direzionale nell'appendimento) quelle macchie ematiche sugli indumenti intense, che più tardivamente s'esprimono in diverse successioni (salvo una sottascellare destra di difficilissima decifrazione); supinamente, il sangue s'era convogliato per stazionalità verso le parti declivi interne del corpo (torace e addome lungo la colonna vertebrale). Nell'appendimento, anche qui, manifestatasi  una stria ematica verticale che dalla parte alta del torace scorre verso la cintola (vomica uscente da foro di arma da fuoco esistente grosso modo sulla parete anteriore dell'emitorace sinistro alto, dovuta ad un primo sollevamento del cadavere preso sotto le ascelle ai fini di mostrarlo alla folla); nei tempi successivi le foto in bianco-nero non la recepiscono più perché essiccatasi e ossidatasi; per contro percepiscono (per la posizione a testa all'ingiù) la nuova direzione contraria della stria medesima (torace sin.-base del collo) e che perdurerà fino al disappendimento.
Nell'ausilio di altra fotografia in cui vedesi il corpo della donna nuovamente supino su altro punto del piazzale e sottoposto a lavaggio con idrante e che rivela (il corpetto stavolta è aperto e mostra il piano toracico anteriore) foro d'arma da fuoco sul terzo spazio intercostale in parasternale, la prima intuizione trova rafforzamento per constatazione. Impossibile però pronunziarsi se si tratti di foro d'entrata o d'uscita. Avanzando nelle sequenze dell'appendimento, compare più tardi una gora ematica che si diparte stavolta dalla parte bassa dell'emitorace destro (quattro dita trasverse sotto il foro citato ma dall'altra parte in linea medioclaveare).
La ritardata apparizione di tale segno sta per sottostante verosimile foro sub-diaframmatico e dunque già in settore cavitario addominale per cui il sangue necessitò di un maggior tempo di stravaso interno prima di raggiungere verso l'esterno, siffatto emissario. Se dovessimo per dette due lesioni periziare con diagnosi anatomo-patologica (anche qui non si può dire se colpo d'entrata o uscita) avremo: il primo colpo d'arma da fuoco ha colpito il cuore nella sua metà atrio-ventricolare sinistra, mentre il secondo ha trapassato il fegato e colon trasverso.
Dopo la riesumazione dal Mussocco di Milano (i dati anagrafici erano stati cambiati in quelli di Rita Colfosco) per il trasporto a Roma dei resti, mi si disse dai legali della famiglia Petacci che era stato tra essi trovato un proiettile di pistola cal. 9 e notata l'infrazione della clavicola (forse destra).
Astrazion fatta per quest'ultima nella incompetenza dei profani, la repertazione del proiettile sembra più interessante e credibile. Comunque, ripeto ancora, quanto esposto è un tentativo per sole finalità indiziarie e sul quale, per mia compostezza professionale, non pretendo il valore di fondatezza.
Tuttavia riprendo la ricomposizione dell'evento letale accomunando stavolta l'uomo alla donna (cosa che non avevo fatto prima escludendola) nell'intuitività probabilistica. Innanzitutto i quattro colpi di mitra sulla spalla sinistra del Mussolini appaiono troppo decentrati circa quelli che ho 'costruito' sul corpo della Petacci,  apparentemente due e toracici. Perché  due soltanto? Forse si era  avuta la sensazione della immediata morte della donna con due soli colpi, oppure al momento, pur nella intenzione di sparargliene altri, era terminata nell'arma la dotazione delle cartucce nel caricatore.
Siamo nel 1945 e l'Italia abbonda d'armi d'ogni genere, ma la pistola più diffusa ed ambita è la Beretta Cal. 9 corto, modello 1934; il suo serbatoio contiene sette pallottole. Se sommiamo i cinque colpi di pistola pel Mussolini con i due per la Petacci, ci siamo; la stessa persona e con la stessa arma colpisce lui e lei.
Se la donna, durante la mortale colluttazione del Mussolini con il suo uccisore fosse rimasta presente ed immota, era immaginandola tale soltanto se trattenuta fisicamente per non farla intervenire, da altri (non escluso da  colui armato di mitra). Ammettendo invece una sua disperata temperalmente generosa partecipazione, sarebbesi aggiunta ai due colluttanti, stendendosi obliquamente sui due corpi e con la spalla destra quasi sulla sinistra del Mussolini, unico spazio corporeo scoperto di lui, mentre con la mano destra aiuta quella del compagno in un tentativo comune, di portare o tenere all'esterno del bersaglio vitale, quella pistola che tendeva, come abbiamo visto, a centrarsi sempre più minacciosamente, a centrarsi su parti ben più vitali che non l'avambraccio destro e la regione carnosa sopraclaveare di quel lato in direzione sottomentoniera.
In tale posizione, la donna presenta al mitra le spalle, che la punta quasi a contatto; ma essa si pone di quarto improvvisamente, forse sul fianco destro e la canna viene deviata mentre la raffica concentra il fuoco sull'estremo della spalla dell'altro morituro, mentre con due colpi, lo sparatore con pistola, trovatosi in posizione  interposta tra l'uomo e la donna, colpisce questa dal basso (verso cioè la superficie anteriore del torace che lo sovrasta) verso l'alto, ovvero in uscita al dorso. Altre soluzioni appaiono meno logiche e meno inquadrabili nei momenti relativamente brevi (5-8 min. al massimo) necessari per siffatto accadimento. Se tutto ciò è negli estremi del probabile, nel quadro della disamina e della ricerca, nel dialogo critico di tutti se in buona fede, così come lo sono stato io con me stesso.
Questo lavoro è alla fine; porta alla conclusione della pensabilità di un evento tutto diverso da quanto e come lo si è voluto esporre. Se ha centrato la verità, almeno nelle sue più essenziali tessere di paziente e faticoso mosaico che ha esagito attese, umiliazioni, delusioni, serva alla Storia quando e come essa vorrà.
Indubbiamente qualcosa da tenere assolutamente nascosto in   quella notte del 28/04/45 in una casa non lontana dal lago di Como, accadde; seguì il tutto una trista scia di morti. Si fece moltissimo per far sì che tutto rendesse  verosimile una esecuzione capitale, per tacere che  qualcosa di non convenientemente  raccontabile, forse improvviso o addirittura inatteso, perché non voluto, era purtroppo avvenuto.
Non sta a me medico, pensare alle circostanze causali; senza dubbio prima di uccidere ci fu una attesa, un dialogo concitato forse. Non si è trattato di un precipitarsi in una stanza di una casa rurale sparando all'impazzata già sulla soglia; il tentativo di disarmo operato lo esclude. Lo spazio del vano in cui il dramma si consumò, era ristretto anche perché in parte occupato da un letto matrimoniale; quindi il tutto può essere avvenuto in parte sul pavimento della stanza, sul letto medesimo se non addirittura sul pianerottolo immediatamente antistante.
La vestizione dei cadaveri rimasti colà nella loro  scomposta impudicizia, fu senz'altro laboriosa  per l'essere sopraggiunto il rigor fino alla completezza, verosimilmente abbandonati dopo quel fuggi-fuggi generale che pervase coloro che furono partecipi o attori di qualcosa di inusitato e sconvolgente. Non si ebbe nemmeno il coraggio di ricomporre quegli indumenti intimi di cui i due deceduti erano soltanto coperti nel momento dell'evento.
Ci si affidò più a quelli di vestizione che erano reperibili cercando di porli addosso nel modo migliore e più facile per chi non è aduso alla vestizione dei morti, quando specialmente questi diventano delle lignee statuarità.
Si tentò di tutto per creare una sceneggiatura d'emergenza fino allo sparare sulla nuca del Mussolini molto tempo dopo la sua morte, nell'intento di creare quella pedissequa tradizionalità del colpo di grazia misconoscendo che in fase d'autopsia si sarebbe apprezzata la lesione non successa in vita.
Se è vero, si crearono addirittura due sosia perché inducessero i curiosi a far testimonianza di due sopravvivenze non più tali da molte ore. Lo stesso medico-settore volle ribadire per i dubbiosi che quanto aveva verbalizzato, apparteneva ad una sentenza portata a compimento secondo la ritualità più tramandata, immaginando a contro-prova addirittura l'esecutando che alza il braccio destro in un istintivo modo di riparo, concretizzando così un colpo per proiettile in una impossibile direttrice trapassante, dimenticando l'inizio nel tempo della esperienza autoptica e non più illustrando la lesione al fianco destro in precedenza verbalizzata. Una autopsia che sembra voluta ai fini di una ostinata dimostrazione che quanto s'era narrato era perfettamente vero. Forse far tutto questo era necessario; il disagio restava per la morte della donna, in un primo tempo condannata a morte per iscritto unitamente al suo compagno in un elenco limitato ai due e più tardi data per deceduta in un isterico intervento, intercettando così qualcosa di letalmente determinante e non per lei.
Allo storico, agli scrittori, riprendere questo discorso che per me desta più un interesse psicologico nella analisi della temperamentalità, esaltata dalle grandi contingenze ed emozioni.
Quanto a me non potevo per giungere a tanto, non usare quelle metodiche descritte e che fanno di questa  trattazione un puro elaborato tecnico, intendendo procedere per esso e soltanto.
Se ho errato chiedo scusa umilmente alla scienza ed alla sua applicazione; agli uomini no, perché non ho inteso affatto polemizzare nell'avvenimento e suoi moventi. Né  voglio che questo scritto serva come strumento d'accusa o rivalsa per esaltare gli animi così bisognosi di dimenticare se veramente intendono serenamente convivere.


sabato 19 marzo 2016

FOTO CASA MAZZOLA E IL PUNTO DOVE MORI' LA PETACCI


Foto di casa Mazzola e del punto dove Dorina Mazzola vide cadere a terra morta Claretta Petacci.

1) Nella foto a sinistra

Dorina Mazzola indica il punto preciso dove vide cadere a terra la Petacci.

2) Nella foto a destra

La casa di Dorina Mazzola, situata a circa 100 metri a valle da casa De Maria, da dove, la mattina del 28 aprile 1945 la signora Mazzola assistette all'omicidio della Petacci e vide trasportare via a braccia il corpo di Mussolini.

Foto tratte dal libro di Giorgio Pisanò "Gli ultimi cinque secondi di Mussolini", Ediz. Il Saggiatore.

giovedì 17 marzo 2016

FOTO DI CASA DE MARIA (oggi)


Foto tratta dal libro di Giorgio Pisanò 
"Gli ultimi cinque secondi di Mussolini" 
Edizione Il Saggiatore

mercoledì 16 marzo 2016

ORA SIAMO ANCHE SU FACEBOOK

Da alcuni giorni siamo attivi anche con una pagina su Facebook.
Potrete così seguirci più facilmente, trovando anche maggior materiale tratto da link di altri siti.
E collaborare più facilmente se avrete del materiale a disposizione (documenti, testi, ecc...) da postare o suggerirci.
Qui sotto il link della pagina FB:

Comitato Verità e Giustizia per Mussolini

martedì 15 marzo 2016

UN'IMMAGINE CHE DIMOSTRA LA VERA DINAMICA DEI FATTI.

Una cruda immagine del corpo di Claretta Petacci, dove si possono notare chiaramente sul petto diversi fori d'uscita.
A dimostrazione che la donna è stata colpita innanzitutto alla schiena, mentre gli altri colpi molto probabilmente sono stati sparati durante la finta fucilazione del pomeriggio, quindi post-mortem. 
Conferma ulteriore della testimonianza di Dorina Mazzola e di tutta la ricostruzione fatta dall'inchiesta di Pisanò. 
A maggior ragione assume credibilità la pista inglese, ovvero la presenza di agenti dei servizi segreti britannici giunti quella mattina sul posto per eliminare fisicamente Mussolini e la Petacci, quali scomodi testimoni dell'esistenza di tutta la corrispondenza e accordi intercorsi tra il Duce e Churchill.
Trovato già morto Mussolini, ecco finire il "lavoro sporco" colpendo di nascosto con una raffica di colpi alla schiena la povera Claretta.

domenica 13 marzo 2016

LE PROBABILI MOTIVAZIONI DI TANTE MENZOGNE

Tutte le ricostruzioni e le testimonianze sulla morte di Mussolini e la Petacci (a cominciare dalle versioni riportate da Pisanò, Lonati e Lazzaro) concordano almeno su cinque punti chiave:

1- Mussolini e la Petacci furono uccisi in un orario diverso da quello “ufficiale” delle 16:10, riconducibile  certamente al mattino.
2- La fucilazione è avvenuta nelle vicinanze della casa dei De Maria, di fatto sbugiardando la ricostruzione “ufficiale” del cancello di villa Belmonte.
3- La morte della Petacci non è stata un incidente, ma un atto voluto.
4- Ad uccidere Mussolini e la Petacci non è stato Walter Audisio, ma qualcun altro.
5- Davanti al cancello di villa Belmonte, alle 16:10 è stata inscenata una finta fucilazione.

Perché dunque mentire per tutto questo tempo e costruire ad hoc una versione “ufficiale” da passare per sempre alla storia?
Forse per i due probabili seguenti motivi:

1° MOTIVO

Ad uccidere Mussolini è stato qualcuno che non doveva esporsi pubblicamente e che probabilmente non aveva neppure previsto di essere l’esecutore materiale dell’omicidio, fino a quando gli eventi stavano precipitando e si vide allora “costretto” ad intervenire in prima persona, onde evitare che il prigioniero sfuggisse loro di mano. Infatti gli Alleati, venuti a conoscenza della cattura del Duce, avevano già predisposto l’invio di un aereo per portarlo via. I messaggi radio che il Comando Alleato invia al CLNAI e CVL nella serata del 27 aprile sono eloquenti:

Messaggio n° 1: 
Il Comando Alleato desidera immediatamente informazioni su presunta locazione di Mussolini. Se è stato catturato, si ordina egli venga trattenuto per immediata consegna al Comando Alleato.

Messaggio n° 2: 
Fateci sapere esatta posizione Mussolini. Invieremo aereo per rilevarlo.

Messaggio n° 3: 
L’aereo che verrà a ritirare Mussolini, atterrerà ore 18:00, domani, all’aeroporto di Bresso. Preparare segnali d’atterraggio.

Intanto i principali membri della 52^ Brigata partigiana “Garibaldi”, ovvero il comandante Pier Luigi Bellini delle Stelle “Pedro”, Urbano Lazzaro “Bill”, Luigi Canali “Capitano Neri” e Michele Moretti “Pietro”, che avevano in custodia Mussolini, dopo il suo fermo a Dongo, rivolgendosi al CLNAI per avere disposizioni sulla gestione del prigioniero, ricevono un preciso ordine dai loro superiori:

Custodite bene il prigioniero, con tutti i riguardi. Non gli sia torto un capello: piuttosto di fargli violenza, in caso di fuga, lasciatelo fuggire….”.

A quel punto il comandante “Pedro” e il “Capitano Neri” decidono di portare al sicuro Mussolini, prima nella caserma della guardia di finanza di Germasino, poi nella notte trasferendolo a Bonzanigo di Mezzegra nella casa dei coniugi De Maria, amici fidati del “Neri”.

Evidentemente però ai comunisti e all’ala più violenta e fanatica della resistenza, questa cosa non andava bene, tanto che Luigi Longo (il presunto vero esecutore materiale dell’omicidio di Mussolini, capo del Comitato Insurrezionale Antifascista e futuro n° 1 del P.C.I.) disse anni dopo in un’intervista, a proposito dell’ipotesi che il Duce fosse stato processato da un tribunale angloamericano:
…Ho molti dubbi che in questo caso Mussolini sarebbe stato condannato a morte…

Appunto per questo membri importanti del P.C.I. decisero di intervenire in prima persona ed in tutta fretta, al fine di eliminare fisicamente il prigioniero, nel timore di vederselo togliere dalle mani dagli Alleati… Necessitando poi di nascondere la propria responsabilità diretta, attribuendo ad un fantomatico Colonnello Valerio il ruolo di esecutore materiale, attraverso una versione di comodo.

A conferma di tutto questo c'è la preziosissima testimonianza di Francesca De Tomasi, cugina proprio di quel Walter Audisio che "ufficialmente" viene considerato l'autore del duplice omicidio Mussolini-Petacci, e che all'epoca lavorava presso il comando generale delle brigate partigiane “Garibaldi”.
Fu lei l’incaricata di trascrivere a macchina tutto il rapporto che si decise di far pervenire al giornale di partito “L’Unità” inerente alla descrizione dei fatti del 28 aprile.
Quel giorno erano presenti nell’ufficio in cui lavorava la De Tomasi, oltre a suo cugino Audisio, che appunto le dettò il resoconto, anche l’altro protagonista "ufficiale", ossia Aldo Lampredi.
Nella sua più che attendibile testimonianza, riporta come molto spesso suo cugino esitava nella descrizione dei fatti, tra dubbi e inceppamenti, leggendo di continuo dei foglietti pieni di appunti, il che tutto faceva chiaramente supporre che ciò che veniva raccontato era stato inventato, tanto che più volte Audisio chiese l’approvazione di Lampredi, inerente ad un particolare o ad un fatto accaduto.
Cosa che, se uno fosse stato realmente protagonista di quegli avvenimenti, non aveva certo bisogno di chiedere l'approvazione ad altri....
A conclusione del racconto, Audisio rivolgendosi a sua cugina disse con tono minaccioso che quella doveva esser la versione che sarebbe per sempre passata alla storia; poco dopo Lampredi, dando una pacca sulla spalla ad Audisio esclamò: “Allora d’accordo? La sopporti tu adesso la parte dell’eroe…
Dimostrazione emblematica: dovevano proteggere il nome di qualcun altro all'interno del loro partito, qualcuno di molto in alto, qualcuno forse come Luigi Longo?

2° MOTIVO

La morte della Petacci non era stata prevista, tanto che quando avvenne, i membri del CLNAI dovettero inventarsi una versione che ne giustificasse in qualche modo l’accaduto, facendola passare alla storia come un incidente.
Si può supporre che non siano stati i partigiani ad ucciderla, ma qualcun altro, ovvero qualcuno che aveva tutto l’interesse a tappargli la bocca per sempre. Qualcuno, come gli agenti dei servizi segreti britannici, in cerca della documentazione in possesso di Mussolini (a cominciare dal carteggio con Churchill) e che sapevano benissimo che la donna era al corrente di tutti i segreti di quegli anni, specie la corrispondenza scottante tra i due statisti…
Anche la dinamica della morte (come testimonierà Dorina Mazzola al giornalista Giorgio Pisanò) e come dimostrano poi anche i fori di proiettile (d’uscita sul petto che sanciscono una fucilazione alla schiena) fanno supporre che qualcuno degli agenti segreti, arrivati sul posto e trovato già morto Mussolini, decisero di finire il “lavoro sporco” iniziato dai partigiani, eliminando colei che poteva testimoniare molti dei segreti che inchiodavano il premier britannico alle sue responsabilità. Infatti la fucilazione della Petacci avvenne improvvisamente, tanto da far imbestialire i partigiani presenti sul posto che inveirono contro l'oscuro responsabile di quell'atto, che evidentemente agì con una tattica "mordi e fuggi" stile servizi segreti....(a tal proposito rileggersi versione Pisanò e testimonianza Dorina Mazzola, negli attimi immediatamente successivi alla fucilazione avvenuta alle spalle della povera Claretta...).

A conferma ulteriore della presenza sul luogo quel giorno di agenti dei servizi segreti mandati da Churchill, esistono nei registri pubblici inglesi della Public Record Office di Londra due precisi documenti ufficiali:

- Nel primo si dimostra l’esistenza di una specifica operazione dei servizi segreti britannici per uccidere Mussolini, designando come capo dell’operazione un certo Capitano John (quello di cui parla Bruno Lonati).

- Nel secondo documento, datato aprile 1945, si fa riferimento all'urgente necessità di recuperare la documentazione in possesso del Duce, tanto che ad un certo punto si legge esplicitamente:
Negli archivi di Mussolini c’è molto materiale che dovremmo recuperare al più presto…. Molto di questo materiale è compromettente per gli Alleati e per alte personalità italiane….

Da tutto ciò si può allora supporre che è stata solo una questione di tempistica: chi per primo è arrivato quella mattina a Bonzanigo di Mezzegra, ha eliminato il Duce; gli altri, giunti soltanto dopo sul posto, si sono “accontentati” di finire il lavoro sporco, eliminando anche la povera Claretta.
La pista inglese, almeno nel caso dell'omicidio di Claretta sembra sostanzialmente appurata, ma non si può neppure escludere l’ipotesi della cattiva gestione degli avvenimenti da parte di chi aveva Mussolini e la Petacci in custodia, degenerata col passare delle ore (in tal caso la versione di Urbano Lazzaro sarebbe plausibile).
Ad ogni modo i partigiani si ritrovarono a gestire la morte irruenta del Duce avvenuta in tutta fretta nella mattinata del 28 aprile, e poi a dover fare i conti con l’uccisione della Petacci un paio d’ore dopo, ad opera di sicari inglesi giunti sul posto nelle stesse ore in cui Luigi Longo, Aldo Lampredi & C. procedettero all’esecuzione spiccia e senza alcun processo di Mussolini.

Possiamo quindi stabilire che potrebbero essere questi i motivi che hanno portato a raccontare una colossale menzogna sulla morte del Duce e della Petacci, inventandosi la fucilazione di villa Belmonte, dove alle 16:10 spararono “in nome del popolo italiano” su due cadaveri…..

Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini