Il dottor Aldo Alessiani era
un medico legale e perito della magistratura.
Per molti anni ha studiato la
morte di Mussolini e della Petacci, analizzandone ogni minimo dettaglio (in
particolare il resoconto dell’autopsia fatta all’epoca dal professor Cattabeni),
grazie alle sue conoscenze in campo medico e scientifico, come pure nel campo balistico, chimico, matematico e fisico (tutto inerente a
chi si occupa di medicina autoptica).
Dopo decenni di studi e
analisi (iniziò negli anni ’50 ad occuparsi del caso “morte di Mussolini”)
giunse agli inizi degli anni novanta a questa analisi, fondamentale per aprire
uno squarcio di luce sulla verità degli eventi del 28 aprile 1945 a Bonzanigo di
Mezzegra, di fatto dando una chiara indicazione scientifica, che contribuì a
sbugiardare la versione ufficiale, come pure certe sentenze medico-legali
stabilite dall'autopsia svolta dal professor Cattabeni.
Di seguito proponiamo
l’analisi completa del dottor Alessiani.
Il Comitato Verità e Giustizia per
Mussolini
IL TEOREMA DEL VERBALE N. 7241
l'autopsia Mussolini
di Aldo Alessiani
Nessuno
voglia vedere in queste pagine una finalità contestataria con le versioni
esposte accettate e non, su un evento di sì grossa portata; in esse è
racchiusa una metodica che, intesa nella sintesi di risultanze e apprezzamenti,
porta a dei rilievi d'ordine puramente tecnico. Che poi generino contrasti con
quanto narrativamente tramandato è frutto di quel conflitto proprio con il
riscontro periziale laddove questo, autonomo da ogni influenza umana mnemonica,
procede per suo conto, indipendentemente dalla verità testimoniata o dal falso
congegnato o dalle confusioni ricordative generate dal tempo e dalle
sovrapposizioni involontarie proprie o di altri.
La
perizia non si serve di rivelazioni, testimonianze anche se giurate; non
ascolta la voce dell'uomo né legge i suoi scritti pur se per fondata riverenza
provengono da fonti indubitabili per cui il ripudiarli o addirittura porli nel
dubbio, appare come blasfema ostinazione; sorge dalla scienza solo quando essa
è libera e in una fede convinta di sé medesima, appunto perché coscientemente e
doverosamente sola nel suo nascere e progredire.
E'
un atto di responsabile coraggio anche, perché gli uomini adusi a fondarsi sul
racconto altrui, più assimilabile in quanto suggestivo fino all'acquisirlo come
dogmatismo specie se ripetitivo, rifuggono dall'applicarsi nella fatica della
constatazione sempre o spesso rigettandola o avvilendola preferendo così
l'invenzione o la tradizione al reale.
E'
la fatalità dei mediocri che, quando finalmente s'imbattono nell'ingegno
pensante e indipendente, finiscono per gridare allo scandalo.
Aldo Alessiani
Iniziai la riflessione sulla morte di Benito Mussolini negli anni cinquanta, non certo pretendendo di giungere alle sue modalità chiaritive; in quel tempo, già medico-giudiziario e specializzando in medicina-legale, non disponevo che di una sola traccia, limitata alle successioni tanatologiche (tanatologia: esame del cadavere e delle sue vicende trasformative), emergenti dalla cospicua iconografia fotografica della mattina del 29/04/1945 quando il suo corpo proveniente da una località comasca era stato deposto in piazzale Loreto a Milano, quindi sollevato con una corda per i piedi ed appeso sulla traversa metallica, di una pensilina per carburanti. Data la notorietà del soggetto, il fine non fu altro che quello di una migliore esposizione per la enorme folla assiepatasi. Ciò che colpì la mia attenzione fu l'apparire in alcune positive di gore ematiche sugli indumenti intimi e quindi più facilmente imbibili di sangue, presenti e scomparenti ma costantemente legate per la loro genesi e dinamica alla gravità.
L'eccezionalità della posizione,
a capo all'ingiù, rarissima anche nella esperienza medico-legale, permetteva di
risalire al succedersi delle diverse spazialità fatte assumere al corpo prima e
durante la detta esposizione.
In
alcune fotografie le gore, ad esempio, avevano proceduto in via verticale nella
direzione delle estremità inferiori, altre, sempre sullo stesso asse delle
prime, al rovescio.
Perché avvenisse questo, il
determinante era il tempo: con la ventilazione alcune scomparivano per
essiccamento ed ossidazione e non erano più percepibili dalla lastra
fotografica in bianco-nero, altre si manifestavano, come ho detto, in direzione
verso il capo persistendo.
Conseguenze, appunto, di diverse
posizioni cadaveriche, ma che essendosi configurate sulla medesima direttrice,
rivelavano che il corpo, prima d'essere appeso per i piedi, era stato
magari per pochi istanti, sostenuto verticalmente, con trazione sotto le
ascelle probabilmente o posto a sedere. Le gore infatti appartenevano
principalmente al tessuto di una maglietta di salute a mezze maniche
evidenziatasi a seguito dello spogliamento operato dalla folla durante
l'appendimento, traendo gli indumenti più esterni verso il suolo.
Benito Mussolini restava alla
fine indossando la citata maglietta (detta di salute), mutande di flanella a
polpaccio divaricate nella loro allacciatura, calzoni alla cavallerizza con
banda militare laterale e abbottonati senza contenzione di cinghia o sostegno
di bretelle, calze bianche, stivali. In tal maniera, una volta disappeso,
raggiunse l'Istituto di medicina legale di Milano.
In complesso la sequenza
fotografica era di per sé preziosa; se essa aveva sollevato emotivamente per il
suo contenuto orrido intensi sentimenti, sotto il profilo tecnico manifestavasi
vantaggiosa per l'analisi bisognosa di reperti. S'imponeva subito
un'indiscutibile difficoltà: la sistemazione cronologica delle singole unità,
ponendole in una utilizzabile successione.
Già le
riferite fasi dello spogliamento indicavano una gradualità intuitiva, empirica,
che poteva anche far dubitare su lacune difficilmente colmabili ai fini
interpretativi. La soluzione fu nell'accorgersi che la pensilina non era stata
completamente approntata; mancava della copertura che, per una struttura del
genere, a quell'epoca, non poteva essere se non di lamiera ondulata o eternit.
Era invece a cielo scoperto
pur se centine metalliche poste per il tetto mancante, sostenevano
anteriormente il frontone che sarebbe diventato linea d'apprendimento con un
estremo mentre con l'opposto si insitava in un muro di fondo in calcestruzzo di
pari altezza: il sostegno centrale costituito da due pilastri verticali di
cemento, reggeva l'intera costruzione.
Trattandosi
di giornata abbastanza assolata, pur se di fine aprile, l'ombra delle centine
si proiettava sul muro assumendo la funzione di una meridiana di fatto e
descrivendo tra la prima fotografia e l'ultima, un settore circolare
procedente da sinistra a destra per chi le guarda.
Inscrivendo in esso settore le
ombre intermedie rivelabili dalle restanti fotografie riuscivo ad ordinarle ed
a leggerne migliori elementi di ricerca.
Comparivano in tal modo le prime risultanze; inizialmente
il corpo di Mussolini giacque supinamente sul piano del piazzale,
ortogonalmente a quello di Clara Petacci e con la testa poggiata sul petto di
lei.
I due cadaveri furono rimossi per primi tra quelli dei
sedici esecutati a Dongo, tutti originariamente depositati contiguamente, per
l'appendimento, dopo essere stati sollevati a braccia, per una iniziale
insufficiente esposizione.
Più tardivamente altri corpi del gruppo seguirono la stessa
procedura, ma con alternanze più dettate dalla curiosità spettacolare che da
fondate esigenze.
Il calcolo del settore circolare riferiva che
l'appendimento della coppia era iniziato alle 11,20 terminando alle 13,45.
All'obitorio giunsero diciannove cadaveri da colà
provenienti, essendosi aggiunto quello di A. Starace ucciso sul posto.
Diventa
subito di massimo interesse l'interpretazione fotografica a cominciar da quella
dei corpi orizzontali ancora non molto manomessi ed in miglior stato
conservativo.
Mussolini appare vestito con un cappotto giovanile di
foggia raglan chiaro-grigiastro (in foto bianco-nera), bavero accuratamente
accollato e fermato sicuramente da una spilla da balia; alla vita, una cintola
di pari tessuto a fibbia stoffata. Tale
indumento andò disperso. Sottostante a questo, soltanto una camicia nera (giacca
assente. Preciso subito che in occasione della restituzione alla vedova Rachele
Guidi dei suoi resti corporali si accomunarono ad essi un paio di stivali,
calzoni ed una giacca; il tutto è esposto in una bacheca nell'attuale ambito
del sepolcreto nei pressi di Predappio).
E'
decisamente da rifiutare che detta giacca sia del Mussolini o quanto meno
indossata da lui al momento del trapasso. Probabilmente appartiene ad uno degli
esecutati di Dongo le cui salme subirono parimenti spogliazioni durante
l'impiccamento; in tal caso essa dovrebbe recare ancora i segni dei fori
d'ingresso dei proiettili in superficie posteriore.
La giacca indossata dal Mussolini durante la Repubblica
Sociale era guarnita soltanto di fiamme al bavero nere con fregi a gladio
argentati, quattro bottoni dorati in linea verticale con impressa l'aquila
romana ad ali ripiegate rampante su fascio littorio, altri quattro più piccoli
simili per le tasche laterali sul petto e per quelle più grandi a toppa sui
fianchi, sottili bande rosse circuenti i polsi. Null'altro.
Per il resto: calzoni alla cavallerizza con ampie bande
nere con in mezzo riga argentata, senza passanti per cinghia, falda ventrale
alta per tre dita trasverse, non bretelle, stivali di cui il destro
posteriormente aperto fino al calcagno.
Quanto
al corpo della Petacci così giungeva a Piazzale Loreto: tailleur scuro (forse
marrone) a grandi quadri ed interamente felpato (tale vestito era già apparso
indossato dalla donna in una nota foto che la raffigurava sotto l'arco di una
porta di Villa Fiordaliso sul Garda), camicetta a rete (grande-tulle) bianca a
vasti ricami floreali, chiusa in alto da nastrino scuro a farfalla; per fondo:
seta, parimenti bianca. Calze ben tirate da giarrettiere (presumibilmente
bustino).
Le
scarpe di numero 35 di foca, scure, a suola ortopedica, con il copricapo
realizzato con lo stesso tessuto del vestito a mo' di bustina militare,
rimasero in zona di decesso, notoriamente tramandateci per rotocalchi.
L'analisi
ancora nota per il Mussolini, sempre in positura orizzontale, la chiara
esistenza, sull'occipitale destro (nuca), di ampia lesione stellare a margini
cutanei sfrangiati per colpo d'arma da fuoco, necessariamente perforante quel
piano osseo per fuoriuscita di sostanza cerebrale in caduta sulla citata
camicetta ricamata della donna.
Il
carattere di siffatta lesione è proprio da arma aderente appunto per l'aspetto
stellare dovuto ai gas d'esplosione interposti tra la pelle ed il piano osseo.
L'autopsia lo descriverà come avvenuto post-mortem; proiettile ritenuto
intracranico perché non ravvisabile in uscita sul capo nelle foto iniziali, sia
per direzione tipica o atipica (deviazione intracranica).
Tale colpo d'arma da fuoco è da escludersi come esploso in
Piazzale Loreto appunto perché salvo lo spessore intermedio del corpo femminile
sul quale il capo poggia è distante di pochi centimetri dal suolo; sarebbe
stato impossibile presumere un'arma seppur corta, e per giunta verticalmente,
inserita tra il pavimento e l'occipite.
Per contro, tutte le altre lesioni descritte in autopsia
sul capo del Mussolini e d'arma da fuoco, sono di folla.
Ancora in tale frangente, il cadavere di Mussolini fu solo
oggetto di dileggio, ponendogli tra le mani l'asta di un labaro della
associazione mutilati ed invalidi di guerra (si era erroneamente detto che
fosse l'insegna della brigata-nera Aldo Resega) ed un giornale che a mò di
cartoccio conteneva delle carote.
Trascinata sotto la pensilina, la salma veniva issata per
la prima volta, senza modificazione del vestiario analizzato, trascinando il labaro
ben sostenuto dagli arti superiori ancor rigidi.
I lembi del cappotto si ribaltavano sulle spalle per
gravità mentre il furore della plebe stava per giungere alla esaltazione.
La sistemazione nel tempo orario delle immagini, permetteva
così anche di seguire le azioni della folla; per il corpo di Mussolini la
spogliazione, durante l'appendimento e soltanto, avviene per trazione
ovviamente verso il basso; altrettanto per gli altri appesi (alcuni resteranno
addirittura a torso nudo).
Per la Petacci, no; c'è un relativo rispetto, anzi,
immediatamente dopo l'issamento, la gonna del tailleur, rincalzandosi e
scoprendo così le pudende che si disse in nature, fu ricomposta alla meglio nei
suoi lembi.
Manifestavasi altresì l'aprirsi a farfalla dello stivale destro
del Mussolini, dal polpaccio alla caviglia, contrariamente al sinistro,
parimenti stretto dalla corda di sostegno, rimasto nella sua integrità.
In
difetto della risaputa autopsia di questi, a me apparsa tardivamente negli anni
sessanta, non potevo fare di più se non, con molta cautela e riserva attingere
a quelle successioni delle gore ematiche riferite e che, se non altro, potevano
ormai essere contemplate in sequela.
Un artifizio ausiliario d'accordo e che però quando diventa
valido iniziariamente, offre la sua utilità, specie poi quando comparato con il
successivo riscontro autoptico, rivela una certa fondatezza.
Che le
gore ematiche siano importanti è fatto acclarato fino al punto di doverle
descrivere in ogni ispezione tecnica di un cadavere rinvenuto, per dirimere il
dubbio di modificate positure di esso sì da far dubitare l'esistenza di sue
manomissioni per fini subdoli o innocenti e comunque confondenti. In tale
stadio, il Magistrato interviene ancor prima di far procedere ad ulteriori acclaramenti.
Nessuna validità probativa dunque al fine di interpretarle sostitutivamente ad
una autopsia; tuttavia, nella specie, si verificò la eccezionalità di così
inusitati cambiamenti volontari e documentati che, come detto, assommano almeno
a tre: lo stare in posizione supina sul selciato dei corpi, quella all'impiedi
sebbene temporanea, infine a testa all'ingiù.
A tutto ciò devesi aggiungere la fortunata combinazione di
essere stati fotografati in bianco e nero e non a colori. Cerco di chiarire: se
noi perforiamo un foglio di carta rettangolare ed al centro con la punta e
soltanto di una penna stilografica, facendo da questa fuoriuscire una goccia
d'inchiostro, questa si disporrà, per gravità, lungo la verticalità dal foro
verso il basso; una prima foto recepirà questa fase di linearità modificantesi
nei suoi comuni canoni d'assorbimento. Se ruotiamo il foglio di 180 gradi, una
seconda goccia discenderà similmente in direzione opposta talché sommerà le due
immagini in una unica retta. Se però la seconda goccia discende dopo un certo
tempo, tenderà a sbiadire l'effetto della prima; una terza foto specie se
scattata a distanza, impressionerà solo la più recente metà della linea.
Comparando le immagini in tempi diversi realizzate, sapendo trattarsi di
liquido unico tracciante, intuiremo accostando gli estremi in opposizione
delle due semirette che necessariamente sono sorte in una unica fuoriuscita
ovvero da quel foro che avevamo ignorato, esattamente localizzandolo per
costruzione sulla base dei due effetti o colà dove l'aveva provocato la punta
della penna, prima dell'intervento fotografico.
Analogamente accade su un tessuto chiaro se macchiatosi
verticalmente da sangue; una fotografia immediata ne fisserà l'immagine se allo
stato fresco (umido) nella direzione della gravità (dal torace ai piedi per
esempio); se giriamo il corpo, l'emissione continuerà (dal torace verso il
collo). I due estremi fanno dunque immaginare una sorgente di sangue,
invisibile perché coperta dai tessuti dei vestimenti, quale quella di una
lesione sanguinante d'arma da fuoco, laddove essi si toccano.
Considerando che il corpo umano è diviso in due volumi
separati dal diaframma (torace-addome), le ferite toraciche sanguinano più
precocemente essendo per gravità pertinenti del volume più piccolo; più
tardivamente le addominali interessanti il volume più grosso. Ciò ci servirà
nel fine ricostruttivo indiziario delle lesioni d'arma da fuoco nella Petacci
per la quale l'ausilio autoptico non esiste così come una descrizione
necroscopica sia pure en passant.
L'artifizio ci sarà di dovere per la suddetta, per
raggiungere una indiziarietà ausiliaria nel contesto di una credibile
collateralità nell'evento storico in trattazione. In effetti, se la
pubblicazione tardiva del verbale d'autopsia di Mussolini, superò di gran lunga
l'iniziale e faticoso mio sforzo concretizzandosi con simile metodica, i miei
risultati, dopotutto, furono validi per ravvisare che la morte di questi era
stata provocata da due armi di cui una a colpo singolo ed una a raffica. Il
tutto con disparate direzionalità.
Commisi però l'ingenuo errore di accettare la tesi
convenzionale di Villa Belmonte.
In verità i miei limitati risultati, non potevano nella
loro misurata precarietà, concedermi inattese in quanto allora inattendibili
estensioni e scoperte.
Ho già specificato come il presente lavoro, per il suo
rigore scientifico, si basi solo su
tracce di rilevanza tecnica; circa la prima, la sequenza fotografica di
piazzale Loreto, ne ho fatto, per sommi capi, menzione; quanto alle
tracce rimanenti, un cenno fugace: la seconda sequenza fotografica relativa ai
corpi dei disappesi e trasferiti all'Istituto di medicina legale di Milano, il
verbale autoptico ufficiale, il verbale segreto precedente, la relazione
aggiuntiva del Medico Settore, il verbale di ricognizione dei resti mortali di
Mussolini redatto da altro Medico Settore nel 1957 dopo essere stati celati per
anni sotto l'altare di una certosa e finalmente restituiti alla vedova.
Per le fotografie della seconda serie (Ist.
medicina-legale) e di importanza determinante, ne farò studio particolare. Al
momento soffermiamoci sul verbale autoptico ufficiale e di cui ebbi conoscenza
tardivamente (1965).
Porta il numero 7241; la data quella del 30/04/45. Inizia
con l'usuale preambolo: la salma è distesa sul tavolo anatomico, il
riconoscimento per la notorietà del soggetto, facilissimo. Le vicende
traumatiche (che appartengono agli istinti emersi in piazzale Loreto) avevano
profondamente trasformato la struttura cranica per precipitazione, colpi d'arma
da fuoco, talché la stessa misura corporea risultò approssimativa (167 cm
circa); il peso 72 Kg.
Il volto presentava contusioni, l'occhio sinistro enucleato
e privo del suo umore interno.
Più interessante la riferita rigidità risolta alla
mandibola e persistente agli arti; assenza di macchia putrefattiva sull'addome
(la manifestazione trasformativa che è in corrispondenza della regione
appendicolare).
Segue la descrizione delle lesioni pre-mortali e
post-mortali: tutte d'arma da fuoco.
Un lungo verbale, quasi puntiglioso sia per l'esterno che
l'interno del cadavere; un referto tale che presuppone una autopsia laboriosa
che ad occhio e croce, tra l'inizio, la fine, la ricomposizione e cucitura
(spagatura) della grande falla giugulo-pubica, richiede un tempo di almeno tre
ore se espletata senza pause.
Il Medico Settore, allora aiuto del titolare dell'Istituto
Universitario, descrive la salma del Mussolini come "preparata" sul
tavolo anatomico. L'occhio del profano scorrerebbe lo scritto senza
soffermarvisi.
Ho già puntualizzato che l'operatore-settore, prima
dell'intervento, dovrebbe descrivere il cadavere così come gli si presenta,
lordo, ignudo, vestito, scomposto; elementi preziosi potrebbero esistere in una
muta narrazione di vicissitudini emergenti per tempi, luoghi, modalità, azioni,
occasionalità, corrispondenze particolarmente esistenti o non con quel che si
constaterà in fase settoria (artefatti simulanti o dissimulanti). Le gore ematiche
appartengono a tale fase (manomissioni, spostamenti , posizioni); l'ho già
detto.
Non farlo ed agire su una salma
già preparata vuol dire aver commesso una grave incompletezza per nulla
giovevole ai fini della indagine più importante: la modalità della morte e le
sue modalità.
Il Medico Settore invece si trovò accanto a quel morto solo
quando i tecnici-preparatori oltre a denudare il cadavere lo avevano lavato
(spugnatura) componendolo sul tavolo anatomico; erano così eliminate note di
raro valore degne di doverose osservazioni e riflessioni.
Ma con
la pubblicazione universitaria del successivo agosto (curiosamente apparsa in
una miscellanea di clinica chirurgica), il Medico Settore volle rincalzare che
l'autopsia era stata più che bastevole per testimoniare l'esecuzione avvenuta e
narrata nella conferma delle rivelazioni fatte a pubblico dominio.
In altri termini una puntualizzazione non essendosi
inizialmente espresso in un supporto tecnico confermante.
Sorvolò però su l'ora di detta esecuzione così come aveva
fatto quattro mesi prima omettendo l'ora d'inizio dell'autopsia nel preambolo
tecnico del verbale 7241; infine dimentica uno dei nove colpi d'arma da fuoco
pre-mortali (quello al fianco destro) e che aveva tecnicamente descritto.
La mancanza di orario dell'inizio autoptico viene così a
rendere non possibile, attraverso i segni consecutivi della morte (abbassamento
della temperatura nella specie impossibile nel riscontro, rigidità e
rilasciamento) che preludono alla trasformazione colliquativa e putrefattiva.
Si poteva fare un accenno, per una migliore
puntualizzazione alle macchie da stasi colorativa (ipostasi) altro fenomeno
consecutivo che nella loro fissità nelle parti corporee a contatto con le
superfici corporee dovevano pur esserci e stabili dopo la quindicesima ora dal
decesso. Non apprezzamento nel merito.
La limitazione ci obbliga, con il rilasciamento denunciato
della mandibola e solo a questa poiché il rigor viene ad essere dichiarato
persistente agli arti (si tace ad esempio per il collo prima di pensare a
quelli), ad ammettere che unicamente questo è l'unico fenomeno di risoluzione
(rilasciamento) essendosi completata la fase primitiva della contrazione rigida
per tutto il corpo.
Esiste
una subordinazione naturale tra la rigidità e la risoluzione; la seconda
interviene quando la prima ha compiuto sé medesima ed in modo costante e
schematico. Tuttavia c'è una identità di procedura: l'una e l'altra iniziano
dai muscoli del capo, pervadendo quelli del collo, del dorso, degli arti superiori,
inferiori, piedi.
Segni approssimativi e non categorici, spesso infidi; più
ad esempio la muscolarità del deceduto è rappresentata e più è la tenacità
della contrazione; più la morte è repentina, più essa è precoce. Per converso
meno la muscolarità è concreta (senilità, defedamento, fetalità) più tardi
compare e prima scompare; il freddo la fa persistere mentre il caldo e
l'ambiente umido, l'accellerano.
L'esattezza di rilievo
cronologico deduttiva della morte, è impossibile; tuttavia se è conosciuta la
data del decesso perché certa l'esistenza in vita nel giorno innanzi, è
maggiormente configurabile l'ipotesi oraria retrograda.
Risultando che il Mussolini in data 27/4/45
era certamente vivo e che la macchia putrefattiva era assente
sull'addome viene a concretizzarsi un tempo grosso modo un calcolo, per
eccesso, compreso tra la mezzanotte del 27 e l'ora di inizio della autopsia
nella sola successione (non essendoci altri dati) di rigidità-rilasciamento
muscolare.
Poiché l'autopsia con certezza appartiene al mattino del
lunedì 30/4/45 (più il tempo intercorrente tra il decesso e l'autopsia è breve,
più la precisabilità retrograda ha fondatezza), ne consegue che tra la
mezzanotte del 27 ed il mezzogiorno del 30 (arrotondamento sempre per eccesso),
intercorrono 60 ore (sabato 28 aprile morte - domenica 29 Piazzale Loreto -
lunedì 30 autopsia, nella espressione 24+24+12 che è nei limiti volutamente
massimi d'orario).
I parametri odierni accettati per la durata della rigidità
cadaverica, vanno da un minimo di 36 ore alle 48 (il più usuale è il secondo);
quanto alla risoluzione quello di 72 (sempre dalla morte) come limite estremo.
Se il Mussolini fosse morto alle 16,20 del 28/4/45 così
come asserito, in realtà (su parametro 48) alle 16,20 del lunedì sarebbe stato
ancora in rigidità; quindi il rilevamento della mandibola rilasciata, già
anticipa di molte ore la fase totale di quella. Dunque qui il parametro 48 ore,
schematicamente, è da abbandonarsi.
Vediamo con l'altro di 36: sempre partendo dalle 16,20 del
sabato, il compimento del rigor s'accosterebbe alle 4,30 del lunedì, dopodichè
il tempo restante è di risoluzione. Concediamo ad occhio e croce un paio d'ore
per il rilasciamento della mandibola, ne viene che l'autopsia è stata iniziata
alle 6,30 del lunedì 30.
E' merito eccezionale del Prof. Sergio Abelli-Riberi di
Torino aver scoperto presso l'Istituto di Medicina-legale di Milano un altro
verbale, non ufficiale e con tutta presumibilità precedente a quello di
pubblico dominio. Il numero del verbale è lo stesso; varia nel testo, dopo il
solito preambolo di dovere, la descrizione del cervello, assente nell'altro.
L'importante è che reca l'ora autoptica: 7,30.
Considerando
che in data 30/04/45 sussisteva l'ora legale, in realtà l'operazione settoria
cominciò alle 6,30 solari. Se così, il Medico Settore avrebbe assunto il
parametro 36 e la morte alle 16,20 del sabato 28 diviene, medico-legalmente
assumibile.
Ma allora, perché tacere l'ora autoptica sul verbale
ufficiale se tutto era chiaro e legittimava le narrazioni pubblicizzate?
Possibile una distrazione omettente in un verbale di
siffatta importanza 'storica' e redatto in un istituto universitario di livello
quale quello medico-legale di Milano? Caso mai era il secondo verbale a dover
essere perfetto; si può ammettere una lacuna nel primo, ma quello è diverso
pure nel contenuto.
Per
quell'epoca, in verità, il termine di 48 ore era il più universalmente
accettato; altri, più brevi, potevano ingenerare problematiche disagianti; uno
scrupolo eccessivo che lo si doveva correggere abbreviandolo, concedendo alla
risoluzione (molto più estesa e non celabile alle molte testimonianze in sala
anatomica) un effetto minimo ovvero la rigidità risolta alla mandibola e
soltanto.
Si
realizzava così un parametro '48' monco di ben otto ore ma se, in tali
condizioni, si fosse messa l'ora autoptica, la morte di Mussolini non sarebbe
stata più alle 16,20 del 28/04/45 ma alle 8,20.
Che cosa stava accadendo?
Passiamo ora alla seconda serie fotografica: quella in cui
i disappesi sono allineati supini sul piano di un corridoio in detto istituto.
Tale depositazione atipica fu dovuta alle circostanze; i vani sotterranei
dell'edificio erano già stracolmi di cadaveri; fu una necessità di spazio
sistemarli colà.
Due foto, indubbiamente scattate ravvicinate, mostrano i
corpi della Petacci e del Mussolini, strettamente affiancati; per dileggio
vengono posti a sedere con le spalle al muro; il capo di lui è sorretto
dalla mano di un uomo perché ciondola ed il braccio sinistro circuisce il
destro di lei in galante sostegno.
Malgrado la stretta sequenza, l'angolazione delle due
braccia, cambia spontaneamente per gravità. Una cosa è certa: le due foto,
essendo il cadavere del Mussolini, seppur parzialmente, ancora vestito, sono
precedenti alle 6,30 del 30/04/45 ora autoptica; non si può fare una autopsia
su un cadavere vestito né nella specie fu rivestito perché, come dissi, gli
indumenti indossati visibili (i calzoni soprattutto) vennero restituiti alla
vedova Guidi.
Pur non sapendo se le due foto appartengono al pomeriggio
del 29 o alle prime ore del 30 la loro dimostratività è incontrovertibile: la
rigidità prima delle 6,30 del 30/04/45 era pienamente risolta per il collo, per
i muscoli del dorso e quanto meno per gli arti superiori altrimenti non si
sarebbero potuti realizzare siffatti lugubri atteggiamenti.
Non dunque una risoluzione iniziale limitata alla
mandibola, ma di molto avanzata; quasi totale se non totale. Con il parametro
'48' quelle immagini avrebbero potuto concretizzarsi nel martedì (primo maggio)
ovvero circa 24 ore dopo il seppellimento. Un rilasciamento consimile, indica
un lasso di tempo di dodici-tredici ore almeno dopo la rigidità esitata; dobbiamo allora ripiegare sul parametro
'36' (rigidità corta) più tredici, uguale a 49.
Se l'autopsia è delle 6,30 del lunedì 30/04/45 la morte
deve necessariamente risalire all'incirca alle 5,30 del sabato 28/04/45. Rigor
mortis in tal caso immediatamente sopraggiunto come nei decessi per
causa-violenta ed in stato di fatica fisio-psichica configurandosi nei supremi
momenti quasi in una statuarietà degli ultimi spasimi e gesti (rigidità
catalettica).
Né le vicende di linciaggio possono avere influito a mio
parere in una accelerazione risolutiva; dopo lo spogliamento del cappotto e
della camicia nera per trazione verso il basso, gli arti superiori potevano
evidenziare una angolazione maggiore che non nell'iniziale appendimento quando
quegli indumenti erano indossati. Siffatta modificazione subordinata alla
indagine specifica, risulta molto modesta; per i muscoli del tronco poi, ogni
concausalità esterna è da scartare. Le stesse articolazioni dei gomiti, nelle
due fotografie citate, indubbiamente manifestano una escursività di
completezza.
Mettiamoci
nei panni del Medico Settore: se avesse denunciato l'effettivo orario delle
7,30 (alias 6,30 ora solare), la seppure iniziale risoluzione della mandibola
avrebbe condotto ad un calcolo retrogrado di 48 ore di rigor più, quanto meno,
un'altra ora per il rilasciamento: totale 49. Il decesso (già lo dissi) si riconduce
alle 6,30; ecco perché sorvola sul trattar dell'ora della morte anche nella
monografia illustrata dell'agosto '45. Resta tuttavia una carenza non veniale
per un medico-legale il non esprimersi sull'ora del decesso quantunque
presuntiva; volerne giustificare l'omissione diventa tentativo non onesto di
facilissima identificazione intenzionale.
Sul
capo sono descritte contusioni: penso che si sia trattato di lapsus poiché tali
lesioni sono vitali. Si dovrebbe
pensare a colpi inferti da altri che si oppongono alla soluzione del Medico
Setore dell'agosto 1945 improntata a una dimostrazione di indubitabile
esecuzione capitale nel pieno rispetto delle modalità di tradizionale
osservanza (concetto di evento puramente legittimistico).
D'altra parte il capo del Mussolini gli si presentava come
di più inusitatamente traumatizzato fino allo sconvolgimento dei tratti e delle
strutture per poter ancora ravvisare su di quello segni così minori.
L'interesse
maggiore appartiene per questa autopsia per i colpi d'arma da fuoco in vita
caratterizzati dall'orletto contusivo-emorragico attorno al foro d'entrata.
Sono Nove:
uno sul fianco destro come ingresso, sopra l'osso iliaco e che
fuoriesce dalla parte supero-esterna del gluteo omolaterale, in modo
tangenziale assumendo su sagoma umana verticale, un angolo di 45 gradi.
Un altro sul margine esterno dell'avambraccio destro esitando (si
tenga presente che tutto ciò è descritto su cadavere orizzontale, supino, ed in
posizione di attenti) più in basso, all'interno, con breve percorso, senza
ledere l'impalcatura ossea. L'angolazione di questo è minima, una ventina di
gradi se non meno: un percorso non tangenziale per una inezia.
Terzo colpo è quello che trafigge la limitata carnosità superiore alla
clavicola destra con risparmio di essa: 180 gradi su sagoma eretta.
Quarto è quello sotto la parte destra del mento e sul piano
compreso tra mento e gola con direttrice dal basso verso l'alto; qui il
proiettile non ha un esito esterno come era da attendersi per la volta cranica
(intatta nelle prime foto antecedenti all'issamento) ed è necessariamente
ritenuto dalla base cranica (polifratturata nell'esame dei resti). Novanta
gradi perfetti su sagoma eretta.
Quinto in entrata sul margine destro dello sterno, alto (secondo
spazio intercostale); ha un percorso obliquo perché esce nella regione del
dorso verso la scapola destra: 45 gradi sul piano intra-toracico. Sarà il
responsabile della rottura aortica.
Sulla spalla sinistra, verso il limite esterno, un
complesso di quattro colpi d'arma da
fuoco molto ravvicinati tanto da rammentare un quattro di quadri coricato: 180
gradi sul piano intratoracico per fuoriuscita sul dorso abbastanza in linea.
Post-mortale invece è quello dell'occipitale destro di cui
ho già parlato per averlo riscontrato fotograficamente; è descritto come tale
in autopsia. Il Medico Settore precisa nella stessa regione, ben due colpi
ravvicinati post-mortali.
In conclusione: eccezion fatta per i colpi alla nuca,
quelli pre-mortali manifestano una chiara polispazialità per angolazioni che
testimoniano una chiarissima poli-spazialità per angolazioni da inclinazioni
diverse per armi sparanti come se il bersaglio fosse estremamente mobile in
tempi successivi brevissimi.
Abbiamo così il quadro: cinque colpi isolati tra di loro in
polidirezionalità nell'emisoma destro e quattro nell'emisoma sinistro
ravvicinatissimi tra di loro peculiari di un'arma a raffica molto a contatto
del bersaglio per l'area ristretta realizzatasi.
Mobilità del bersaglio se questo è rappresentato da un uomo
all'impiedi o mobilità comune del leso e del feritore in fase di colluttazione
per sottrazione del leso alla intenzionalità del feritore (morte del non
consenziente).
Il
colpo sotto il mento, in piena verticalità di tramite, esclude il bersaglio
all'impiedi, quello al fianco, che simula addirittura un colpo sparato
dall'alto, una orizzontalità dell'arma.
La soluzione è quella di una colluttazione con tentativo di
disarmo del soccombente, iniziale.
Ricostruendo così la dinamica: il colpo al fianco è
conseguenza di disarmo di mano impugnante una pistola e con torsione verso il
basso ed allontanamento verso l'esterno; una immagine non nuova per la medicina
legale; segue la caduta a terra dei due per trascinamento da parte del
soccombente che si trova vis-à-vis con l'aggressore. Nella caduta, il
sottostante, istintivamente estende il braccio destro, forse in cerca
d'appoggio, abbandonando la presa dell'arma con la mano destra che si rinnova
con la sinistra al fine di evitare che la mano dell'aggressore porti l'arma
verso gli organi vitali del corpo; anche qui allontanamento forzato e
parte il secondo colpo sul braccio esteso e lungo di esso in tangenzialità.
L'opposizione del soccombente comincia a cedere senza però
cessare; l'arma si sposta sulla regione sopraclaveare di destra sparando,
quindi più al centro del corpo, sotto il mento, ed è ancora fuoco; la
pallottola incontrerà la dura resistenza della spessa base cranica dopo aver
perforato il palato, determinandone la polifratturazione.
Il soccombente cede ma resta ancora sul polso dello
sparatore che, con ultima angolazione obbligata, fa partire l'ultimo colpo,
quello sulla parasternale destra con probabile deviazione verso la scapola
sinistra del proiettile da resistenza ossea costale o vertebrale.
Se
osserviamo siffatta serie di tre colpi, sull'avambraccio destro esteso in alto,
quello sulla zona sopraclaveare destra come il quarto sotto il mento, vengono
comunemente a trovarsi tutti alla stessa altezza e su una comune linearità.
Quello
sulla parasternale è strettamente zonale perché a cinque dita trasverse sotto
il quarto. Quanto ai colpi della spalla sinistra così contemplabili nella loro
minima area sono senz'altro di raffica a bruciapelo; è caratteristica delle
mitragliette la distanzialità dei loro effetti già nel modesto allontanarsi del
bersaglio.
Potrebbero essere stati esplosi da persona intervenuta a
dar manforte allo sparatore di pistola e che per non colpirlo ha indirizzato la
raffica sulla spalla sinistra del soccombente, unica regione di questi, ancora
scoperta durante la colluttazione oppure per altre contingenze che fanno
presupporre nella fattispecie la presenza e l'intervento di una quarta persona
(C. Petacci), ragione volontaria o involontaria deviante l'arma in
eccentricità. Tornerò su tale ultimo tema (l'unico improntato a probabilistica
per carenza di rilievi di certezza) considerando la morte della Petacci nella
contemporaneità dell'azione illustrata.
Da quanto detto viene implicitamente a sussistere la
dinamica dei colpi esplosi quasi a contatto se non addirittura; con la
ricostruzione per dinamizzazione dell'evento necessariamente sorge tale
risultanza.
Fermarsi solo sull'apprezzamento della polispazialità dei
colpi d'arma da fuoco inferti al Mussolini e dunque non confortanti una
esecuzione capitale è ingiusto verso di me e quest'opera; andiamo dunque ad
indagare altre componenti dimostrative: le più importanti.
Qui, per l'epoca recente in cui avvenne il fatto in esame,
le armi erano con cariche deflagranti a polveri cosiddette bianche (ovvero con
ridotto carattere ustionante e affumicante a differenza delle antiche nere); la
vicinanza dello sparo determina per le bianche un miglior schematismo didattico
una volta raggiunto il bersaglio: foro d'ingresso con intorno ustione e
contusione da gas (3-5 cm), affumicatura (fino a 10 cm), tatuaggio sulla cute
da particelle incombuste di polvere (fino a 30-40 cm); il tutto attorno a quel
foro escoriato-emorragico in una congerie grossolanamente concentrica.
Nell'autopsia citata nulla viene riferito e verbalizzato oltre ai fori di
entrata dei proiettili e la loro caratteristica pre-mortale (alone
escoriativo-emorragico) che è l'unica indipendente dalle distanze del colpo
esploso; l'alone detto può costituire un anello di 3-7 millimetri e resta
sempre riscontrabile perché non asportabile meccanicamente o chimicamente.
Cancellabile
è invece l'affumicatura, concentrica al foro come l'alone ma più volubile a
causa delle distanze; volubilità determinata dalla combustività delle polveri
(oggi ancora più povere di scorie affumicanti del 1945) anche; indelebili
invece le particelle incombuste penetranti nella cute (o tessuti d'indumenti) e
responsabili di un tatuaggio fatto misto all'alone di affumicatura asportabile
con una spugna inumidita. Ma anche il tatuaggio è subordinato alla modernità
dell'esplosivo ed alle sue fecce superstiti.
La
preparazione di un cadavere prima di deporlo sul tavolo settorio è competenza
di manovalanza tecnica non medica come lo spogliarlo e il lavarlo sia pure con
acqua fredda; questo atto non è per idrante ma di solito per spugna che con
facilità rimuove tracce labili compresa l'affumicatura di colpo d'arma da
fuoco.
Ecco perché l'ispezione attenta del corpo prima
dell'autopsia è di attenta competenza sia per il suo vestire, nudità,
atteggiamenti, residui ambientali, gore ematiche nella eventualità di
manomissioni, spostamenti occasionali o intenzionali.
Soltanto la preziosità della sequenza fotografica di
Piazzale Loreto, quando ancora non insiste demolitivamente sulle salme appese,
ci rileva che in topografica corrispondenza delle lesioni pre-mortali
autoptiche sugli indumenti, non esistono (manica destra del cappotto, spalla
destra del medesimo, parte alta dei calzoni) altrettante sdruciture più o meno
a lembo che avrebbero dovuto accompagnarsi alla penetrazione di proiettili
esplosi a distanza o con queste con segni di affumicatura o di bruciatura con
squarci e lacerazioni per i colpi ravvicinatissimi.
Nei
colpi ravvicinati per gli indumenti specie se di consistenza come nei cappotti,
le alterazioni sono vistose per bruciature a coccarda o a raggiera a margini
carbonizzati, per squarci da pressione gassosa interpostasi tra il corpo e
l'indumento (l'uscita dei gas dalla canna durante lo sparo determinano
pressioni altissime considerate in più centinaia d'atmosfere).
Nella specie, tutto ci fa pensare ad un rivestimento del
cadavere.
Possiamo anche definire tale evento, dettato da una
instaurata rigidità cadaverica e contemporaneo al calzare degli stivali di cui
uno, per abnorme atteggiamento del piede, non chiudibile posteriormente e
recante i segni del forzamento perché non restasse aperto (in bacheca della
cripta cimiteriale). Su tale premessa possiamo fare pure un calcolo
approssimativo attenendoci ad un orario minimo post-mortem di sette ore per il
rigor comprendente la sua discesa verso gli arti inferiori: il rivestimento,
considerando la morte intorno alle 5,30 del 28/04/45 non poteva essere realizzato
se non dopo le 12,30 di quel giorno.
Come si vede, anche qui ho scelto valori di massimo rigore
per la riduzione delle oscillabilità d'errore, sottraendomi per quel che ho
potuto alle approssimazioni onde evitare impugnazioni e contestazioni qualora
avessi usato labilità più elastiche ma pur sempre rientranti in confini
ineccepibili perché scientificamente accettabili.
Abbiamo
osservato come i limiti perforativi intrasomatici di un proiettile, si
accompagnino oltre all'alone escoriativo emorragico, all'ustione, al tatuaggio,
all'affumicatura ecc. e che essi possono consociarsi a seconda delle
circostanze dinamiche; ma tutti questi elementi hanno ancora un altro comune
comportamento laddove l'arma ha colpito molto da vicino (sempre questione di centimetri).
Così a
canna perpendicolare, sia l'alone escoriativo, l'ustione, il tatuaggio e
soprattutto l'affumicatura, saranno in immagine concentrica rotonda; quando
l'arma è in inclinazione, l'immagine assumerà figure a cul de sac (piriformi) e
dunque eccentriche.
Ciò è visibile nella serie fotografica seconda (quella
obitoriale) per il colpo al mento (arma perpendicolare al piano) rotondo come
una grossa moneta per alone d'affumicatura, piriforme (con il cul de sac verso il palmo della mano)
quello sull'avambraccio destro per arma tangenziale, quasi longitudinale
all'arto, in retro-rotazione per caduta a terra.
Gli stessi aloni escoriativi senza tali concomitanti segni
perché il colpo fu sparato a distanza, nella loro ridottissima rilevabilità,
ubbidiscono agli stessi canoni di pura formulazione fisica. Resta di estrema
intuibilità che se l'alone d'affumicatura è rintracciabile su cute, essa non
poteva essere coperta da indumenti che avrebbero interferito l'effetto del
colpo ravvicinato in una intercettazione quasi totale per consimili
concomitanze. E' implicito che per Mussolini, o l'alone di affumicatura
pertinente alle lesioni premortali (e dunque inferte a bruciapelo o quasi) non
esisteva e non poteva essere descritto in verbalizzazione o se non verbalizzato
perché non più ravvisabile; non esiste la descrizione dello status del cadavere
quale ispezione pre-autoptica, che avrebbe dovuto descrivere anche i vestimenti
nelle loro alterazioni tissutali (basti pensare all'avambraccio destro già
citato e che trapassato in entrata ed uscita avrebbe dovuto evidenziare
macroscopicamente e senza dubbi, sulla manica del cappotto topograficamente
corrispondente, particolari segni se non altro per la ristretta area tissutale
compromessa). La ravvisabilità dell'alone d'affumicatura (detto anche
comunemente nero-fumo), nelle fotografie pre-autoptiche converge in un tutt'uno
la dinamizzazione dell'evento colluttatorio in soggetto praticamente in nudità
con la integralità degli indumenti usati per una vestizione post-mortale
difficile ed affrettata dettata da circostanzialità inattese ed imprevedibli.
Discutiamo ora sul cadavere della Petacci; certamente non fu sottoposto ad
autopsia e l'inumazione avvenne con indosso il vestito con il quale la vediamo
ancora attaccata al frontone metallico della pensilina.
La concordanza degli atteggiamenti per rigidità, prima e
durante l'appendimento nonché nelle due foto della seconda serie (Ist. med.
legale) la cui importanza è determinante (cadaveri seduti affiancati in posa di
sottobraccio) è piena per i detti fenomeni consecutivi.
Possiamo non aver caso mai certezza se la donna e l'uomo
morirono nella stessa località o luogo, ma la fenomenologia post-mortale ha una
grossa indiziarietà per contemporaneità di decessi (quindi anche per la Petacci
lo stesso canone di parametro "36").
Si riaffaccia così l'importanza di quegli artifizi iniziali
(necroscopia indiretta d'accostamento) che già avevo elaborato in carenza della
autopsia documentata del Mussolini; in posizione supina sul Piazzale Loreto,
non appaiono (appunto perché non configuratasi la gravità direzionale
nell'appendimento) quelle macchie ematiche sugli indumenti intense, che più
tardivamente s'esprimono in diverse successioni (salvo una sottascellare destra
di difficilissima decifrazione); supinamente, il sangue s'era convogliato per
stazionalità verso le parti declivi interne del corpo (torace e addome lungo la
colonna vertebrale). Nell'appendimento, anche qui, manifestatasi una
stria ematica verticale che dalla parte alta del torace scorre verso la cintola
(vomica uscente da foro di arma da fuoco esistente grosso modo sulla parete
anteriore dell'emitorace sinistro alto, dovuta ad un primo sollevamento del
cadavere preso sotto le ascelle ai fini di mostrarlo alla folla); nei tempi
successivi le foto in bianco-nero non la recepiscono più perché essiccatasi e
ossidatasi; per contro percepiscono (per la posizione a testa all'ingiù) la
nuova direzione contraria della stria medesima (torace sin.-base del collo) e
che perdurerà fino al disappendimento.
Nell'ausilio di altra fotografia in cui vedesi il corpo
della donna nuovamente supino su altro punto del piazzale e sottoposto a
lavaggio con idrante e che rivela (il corpetto stavolta è aperto e mostra il
piano toracico anteriore) foro d'arma da fuoco sul terzo spazio intercostale in
parasternale, la prima intuizione trova rafforzamento per constatazione.
Impossibile però pronunziarsi se si tratti di foro d'entrata o d'uscita.
Avanzando nelle sequenze dell'appendimento, compare più tardi una gora ematica
che si diparte stavolta dalla parte bassa dell'emitorace destro (quattro dita
trasverse sotto il foro citato ma dall'altra parte in linea medioclaveare).
La ritardata apparizione di tale segno sta per sottostante
verosimile foro sub-diaframmatico e dunque già in settore cavitario addominale
per cui il sangue necessitò di un maggior tempo di stravaso interno prima di
raggiungere verso l'esterno, siffatto emissario. Se dovessimo per dette due
lesioni periziare con diagnosi anatomo-patologica (anche qui non si può dire se
colpo d'entrata o uscita) avremo: il primo colpo d'arma da fuoco ha colpito il
cuore nella sua metà atrio-ventricolare sinistra, mentre il secondo ha
trapassato il fegato e colon trasverso.
Dopo la riesumazione dal Mussocco di Milano (i dati
anagrafici erano stati cambiati in quelli di Rita Colfosco) per il trasporto a
Roma dei resti, mi si disse dai legali della famiglia Petacci che era stato tra
essi trovato un proiettile di pistola cal. 9 e notata l'infrazione della
clavicola (forse destra).
Astrazion fatta per quest'ultima nella incompetenza dei
profani, la repertazione del proiettile sembra più interessante e credibile. Comunque,
ripeto ancora, quanto esposto è un tentativo per sole finalità indiziarie e sul
quale, per mia compostezza professionale, non pretendo il valore di fondatezza.
Tuttavia riprendo la ricomposizione dell'evento letale
accomunando stavolta l'uomo alla donna (cosa che non avevo fatto prima
escludendola) nell'intuitività probabilistica. Innanzitutto i quattro colpi di
mitra sulla spalla sinistra del Mussolini appaiono troppo decentrati circa
quelli che ho 'costruito' sul corpo della Petacci, apparentemente due e
toracici. Perché due soltanto? Forse si era avuta la sensazione
della immediata morte della donna con due soli colpi, oppure al momento, pur
nella intenzione di sparargliene altri, era terminata nell'arma la dotazione
delle cartucce nel caricatore.
Siamo nel 1945 e l'Italia abbonda d'armi d'ogni genere, ma
la pistola più diffusa ed ambita è la Beretta Cal. 9 corto, modello 1934; il
suo serbatoio contiene sette pallottole. Se sommiamo i cinque colpi di pistola
pel Mussolini con i due per la Petacci, ci siamo; la stessa persona e con la
stessa arma colpisce lui e lei.
Se la donna, durante la mortale colluttazione del Mussolini
con il suo uccisore fosse rimasta presente ed immota, era immaginandola tale
soltanto se trattenuta fisicamente per non farla intervenire, da altri (non
escluso da colui armato di mitra). Ammettendo invece una sua disperata
temperalmente generosa partecipazione, sarebbesi aggiunta ai due colluttanti,
stendendosi obliquamente sui due corpi e con la spalla destra quasi sulla
sinistra del Mussolini, unico spazio corporeo scoperto di lui, mentre con la
mano destra aiuta quella del compagno in un tentativo comune, di portare o
tenere all'esterno del bersaglio vitale, quella pistola che tendeva, come
abbiamo visto, a centrarsi sempre più minacciosamente, a centrarsi su parti ben
più vitali che non l'avambraccio destro e la regione carnosa sopraclaveare di
quel lato in direzione sottomentoniera.
In tale posizione, la donna presenta al mitra le spalle,
che la punta quasi a contatto; ma essa si pone di quarto improvvisamente, forse
sul fianco destro e la canna viene deviata mentre la raffica concentra il fuoco
sull'estremo della spalla dell'altro morituro, mentre con due colpi, lo
sparatore con pistola, trovatosi in posizione interposta tra l'uomo e la
donna, colpisce questa dal basso (verso cioè la superficie anteriore del torace
che lo sovrasta) verso l'alto, ovvero in uscita al dorso. Altre soluzioni
appaiono meno logiche e meno inquadrabili nei momenti relativamente brevi (5-8
min. al massimo) necessari per siffatto accadimento. Se tutto ciò è negli
estremi del probabile, nel quadro della disamina e della ricerca, nel dialogo
critico di tutti se in buona fede, così come lo sono stato io con me stesso.
Questo lavoro è alla fine; porta alla conclusione della
pensabilità di un evento tutto diverso da quanto e come lo si è voluto esporre.
Se ha centrato la verità, almeno nelle sue più essenziali tessere di paziente e
faticoso mosaico che ha esagito attese, umiliazioni, delusioni, serva alla
Storia quando e come essa vorrà.
Indubbiamente qualcosa da tenere assolutamente nascosto
in quella notte del 28/04/45 in una casa non lontana dal lago di Como,
accadde; seguì il tutto una trista scia di morti. Si fece moltissimo per far sì
che tutto rendesse verosimile una esecuzione capitale, per tacere
che qualcosa di non convenientemente raccontabile, forse improvviso
o addirittura inatteso, perché non voluto, era purtroppo avvenuto.
Non sta a me medico, pensare alle circostanze causali;
senza dubbio prima di uccidere ci fu una attesa, un dialogo concitato forse.
Non si è trattato di un precipitarsi in una stanza di una casa rurale sparando
all'impazzata già sulla soglia; il tentativo di disarmo operato lo esclude. Lo
spazio del vano in cui il dramma si consumò, era ristretto anche perché in
parte occupato da un letto matrimoniale; quindi il tutto può essere avvenuto in
parte sul pavimento della stanza, sul letto medesimo se non addirittura sul
pianerottolo immediatamente antistante.
La vestizione dei cadaveri rimasti colà nella loro
scomposta impudicizia, fu senz'altro laboriosa per l'essere sopraggiunto
il rigor fino alla completezza, verosimilmente abbandonati dopo quel
fuggi-fuggi generale che pervase coloro che furono partecipi o attori di
qualcosa di inusitato e sconvolgente. Non si ebbe nemmeno il coraggio di
ricomporre quegli indumenti intimi di cui i due deceduti erano soltanto coperti
nel momento dell'evento.
Ci si affidò più a quelli di vestizione che erano
reperibili cercando di porli addosso nel modo migliore e più facile per chi non
è aduso alla vestizione dei morti, quando specialmente questi diventano delle
lignee statuarità.
Si tentò di tutto per creare una sceneggiatura d'emergenza
fino allo sparare sulla nuca del Mussolini molto tempo dopo la sua morte,
nell'intento di creare quella pedissequa tradizionalità del colpo di grazia
misconoscendo che in fase d'autopsia si sarebbe apprezzata la lesione non
successa in vita.
Se è vero, si crearono addirittura due sosia perché
inducessero i curiosi a far testimonianza di due sopravvivenze non più tali da
molte ore. Lo stesso medico-settore volle ribadire per i dubbiosi che quanto
aveva verbalizzato, apparteneva ad una sentenza portata a compimento secondo la
ritualità più tramandata, immaginando a contro-prova addirittura l'esecutando
che alza il braccio destro in un istintivo modo di riparo, concretizzando così
un colpo per proiettile in una impossibile direttrice trapassante, dimenticando
l'inizio nel tempo della esperienza autoptica e non più illustrando la lesione
al fianco destro in precedenza verbalizzata. Una autopsia che sembra voluta ai
fini di una ostinata dimostrazione che quanto s'era narrato era perfettamente
vero. Forse far tutto questo era necessario; il disagio restava per la morte
della donna, in un primo tempo condannata a morte per iscritto unitamente al
suo compagno in un elenco limitato ai due e più tardi data per deceduta in un
isterico intervento, intercettando così qualcosa di letalmente determinante e
non per lei.
Allo storico, agli scrittori, riprendere questo discorso
che per me desta più un interesse psicologico nella analisi della
temperamentalità, esaltata dalle grandi contingenze ed emozioni.
Quanto a me non potevo per giungere a tanto, non usare
quelle metodiche descritte e che fanno di questa trattazione un puro
elaborato tecnico, intendendo procedere per esso e soltanto.
Se ho errato chiedo scusa umilmente alla scienza ed alla
sua applicazione; agli uomini no, perché non ho inteso affatto polemizzare
nell'avvenimento e suoi moventi. Né voglio che questo scritto serva come
strumento d'accusa o rivalsa per esaltare gli animi così bisognosi di
dimenticare se veramente intendono serenamente convivere.