I TESTIMONI OCULARI
Innanzitutto dobbiamo citare le testimonianze di alcuni protagonisti di quelle giornate che hanno ufficialmente negato o comunque non riconosciuto in Walter Audisio il vero responsabile del duplice omicidio Mussolini-Petacci.
I testimoni sono:
I testimoni sono:
- Urbano Lazzaro “Bill” (colui che passò alla storia per aver scoperto il Duce all’interno del camion tedesco nei pressi di Dongo). In tutte le sue dichiarazioni ha sempre affermato che il colonnello Valerio da lui conosciuto in quei giorni non era Audisio ma invece Luigi Longo (dichiarazioni riscontrabili anche nell’autobiografia di Lazzaro “Dongo, mezzo secolo di menzogne” ediz. Mondadori).
- Guglielmo Cantoni “Sandrino” (partigiano messo a guardia di Mussolini fuori dalla stanza di casa De Maria a Bonzanigo). Egli dichiarò pubblicamente allo storico Giorgio Pisanò:“Non è andata come la raccontano…..” rivelando inoltre sia alla moglie che ad un amico di fiducia, che il Duce venne ucciso sotto casa, legato al catenaccio del portone della stalla (testimonianza riscontrabile nel libro di Pisanò “Gli ultimi 5 secondi di Mussolini” ediz. Il Saggiatore).
- Lia De Maria (la padrona della casa in cui passarono le ultime ore Benito e Claretta) Affermò ad Urbano Lazzaro che Walter Audisio non è il colonnello Valerio che vide in casa sua quel 28 aprile
Indirettamente ci arrivano altre testimonianze che portano a smascherare Audisio:
- Francesca De Tomasi, cugina di Walter Audisio. Lavorava presso il comando generale delle brigate partigiane “Garibaldi” e fu lei l’incaricata di trascrivere a macchina tutto il rapporto che si decise di far pervenire al giornale di partito “L’Unità” inerente alla descrizione dei fatti del 28 aprile. Quel giorno erano presenti nell’ufficio in cui lavorava la De Tomasi, oltre a suo cugino Audisio, che appunto le dettò il resoconto, anche l’altro protagonista, Aldo Lampredi. Nella sua più che attendibile testimonianza, ci riporta come molto spesso suo cugino esitava nella descrizione dei fatti, tra dubbi e inceppamenti, leggendo di continuo dei foglietti pieni di appunti, il che tutto faceva chiaramente supporre che ciò che veniva raccontato era stato inventato di sanapianta, tanto che più volte Audisio chiese l’approvazione di Lampredi, inerente ad un particolare o ad un’azione.
A conclusione del racconto, Audisio rivolgendosi a sua cugina disse con tono minaccioso che quella doveva esser la versione che sarebbe per sempre passata alla storia; poco dopo Lampredi, dando una pacca sulla spalla ad Audisio esclamò: “Allora d’accordo? La sopporti tu adesso la parte dell’eroe…”
- Dorina Mazzola (vicina di casa dei De Maria) la quale testimoniò di aver visto uccidere Claretta Petacci di fronte casa sua,dopo che i partigiani stavano portando via a braccia il corpo di un uomo calvo, dimostratosi poi essere Mussolini (testimonianza riscontrabile nel libro di Pisanò “Gli ultimi 5 secondi di Mussolini” ediz. Il Saggiatore).
Oltre a queste testimonianze dirette e indirette, abbiamo un’innumerevole serie di contraddizioni, errori e smentite su quella che è la cosiddetta “versione ufficiale” riproposta in quattro distinte occasioni.
LE CONTRADDIZIONI
La lista e lunghissima, ma si potrebbe ad esempio partire subito con la descrizione del numero di colpi sparati durante la famigerata esecuzione.
1^ VERSIONE (da “L’Unità” del 30 aprile 1945. Valerio racconta ):
“….Da una distanza di tre passi feci partire CINQUE colpi contro Mussolini, che si accasciò sulle ginocchia con la testa reclinata sul petto. Poi fu la volta della Petacci..”
2^ VERSIONE (dal resoconto a puntate apparso su “L’Unità” del dicembre 1945- 20^ puntata. Valerio racconta):
“……Scaricai CINQUE colpi al cuore…..Non era morto: tirai ancora una sventagliata rabbiosa di QUATTRO colpi… Mussolini respirava ancora e gli diressi un SESTO colpo dritto al cuore….”
3^ VERSIONE (da “L’Unità” del 28 marzo 1947. Valerio racconta):
“…..E su quel corpo scarico CINQUE colpi. Si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto. Non era ancora morto, gli tirai una seconda raffica di QUATTRO colpi. La Petacci, fuori di sé, stordita, si mosse confusamente; fu colpita e cadde di quarto a terra. Mussolini respirava ancora e gli diressi, sempre col mas, UN ULTIMO colpo al cuore…..”
4^ VERSIONE (dal libro di Walter Audisio,“In nome del popolo italiano” uscito nel 1975):
“……Quando mi fui di nuovo piantato di fronte a lui, con il mitra in mano scaricai CINQUE colpi su quel corpo tremante. Si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto… Mussolini respirava ancora e gli diressi UN ULTIMO colpo al cuore…..”
Ciò che salta subito agli occhi è che questo Valerio parla prima di cinque colpi (il 30 aprile 1945), poi di punto in bianco, come per magia i colpi raddoppiano e diventano dieci (dicembre’45 e marzo ’47); alla fine ritornano di meno, cioè sei (libro del 1975).
Valerio si sarebbe dovuto decidere: quel giorno sparò col suo mitra cinque, sei o dieci colpi? Quello che ci viene fatto intendere rileggendosi bene e per intero le quattro versioni sono i seguenti risultati :
1) Nella prima versione si parla di CINQUE colpi sparati su Mussolini, che lo uccidono con effetto immediato. Poi toccò alla Petacci, ma qui non si parla né di come né di quanti colpi furono sparati (tanto che innesca forte il dubbio che sia appunto stata ucciso in un altro momento e non per errore dovuto al suo “muoversi confusamente”
2) Nella seconda versione i colpi sparati si trasformano per magia in dieci, di cui SEI avrebbero ucciso Mussolini mentre gli altri quattro furono sparati a “casaccio” tanto da colpire non si sa bene come anche la Petacci, che nel frattempo si sarebbe messa di mezzo.
3) Nella terza versione Mussolini viene ucciso da DIECI colpi, tra cui alcuni avrebbero colpito anche la Petacci (in che modo però non è chiaro. Forse trapassando il corpo del Duce ed andando ad infilarsi in quello di Claretta con una precisione talmente chirurgica da colpirle i centri vitali? Roba da fantascienza....)
4) Nella quarta versione i colpi sparati furono di nuovo solo SEI, tra cui alcuni colpirono anche qui (non si sa bene come) Claretta,
Queste piroette audisiane fanno riflettere su un unico particolare: dopo quarant’otto ore dagli eventi, Valerio parla (ricordiamo sempre che aveva i ricordi ben freschi) di cinque colpi sparati in tutto.
Poi avviene Piazzale Loreto e nell’agosto dello stesso anno il dott. Cattabeni pubblica il resoconto della sua autopsia, che rileva come sul corpo di Mussolini vi siano ben nove colpi, di cui almeno sette sono da considerarsi vitali. Tale esame smentì in maniera palese la versione fin lì data. Come giustificare allora la cosa? I colpi non erano stati solo cinque? Perché il professor Cattabeni parla di nove colpi nel suo resoconto autoptico?
A questo punto Valerio si vide costretto a smentire se stesso, correggendo il tiro e parlando di dieci colpi sparati (ed ecco che qui si parte con la ricostruzione fatta tra il novembre ed il dicembre di quello stesso anno). Man mano che i resoconti della necroscopia vengono alla luce e analizzati da esperti, ci si ritrova a parlare prima (nel dicembre ’45) di sei colpi vitali, e i restanti di sola ferita, poi, siccome i dubbi persistono, a scanso di equivoci Valerio decide di parlare di dieci colpi decisivi (marzo ’47), che non si sa bene come hanno preso dentro pure Claretta Petacci.......Poi, dopo trent’anni, confidando che tutto fosse finito nel “dimenticatoio” Audisio torna a parlare di soli sei colpi.... Ma come? Se persino l’autopsia ne ha riscontrati nove e lui stesso aveva parlato nei resoconti degli anni precedenti di aver inferto il doppio dei colpi ?!
A parte queste confuse ed assurde testimonianze, tutte in contraddizione fra loro, viene anche da chiedersi come Claretta in tutto questo ci sia finita di mezzo….
Qui l’analisi sarebbe ancora più lunga. Per brevità potremmo citare alcuni punti interessanti per capire come la ricostruzione ufficiale non stia in piedi:
- sui resti di Claretta sono stati trovati due proiettili calibro 9, che senz’ombra di dubbio appartengono al mitra Colt, all’epoca usato dagli agenti dei servizi segreti inglesi. Come mai c’erano questi due tipi di proiettili fra i resti di Claretta, se Audisio afferma di aver sparato con il mitra Mas (calibro 7,65)?
- dalle fotografie scattate sul selciato di Piazzale Loreto e dalla successiva autopsia fatta sui suoi resti riesumati nel 1956 si è riscontrato che Claretta è stata uccisa con quattro colpi alla schiena, tanto che in una foto scattata nel giorno dell’esposizione dei cadaveri si nota bene questo particolare: effettivamente si vedono i fori d’uscita davanti sul petto. La precisione dei colpi alla schiena della Petacci non può avvenire in circostanze come quelle descritteci nella versione ufficiale secondo la quale Claretta si sarebbe “mossa in modo confuso”. Quantomeno se fosse vero che si è bruscamente mossa, agitandosi in modo scomposto è probabile che avremmo trovato fori anche sui fianchi o forse anche sul petto (intesi i colpi inferti in vita. Gli altri fori sono tutti post-mortem) ed eventualmente questi fori sarebbero stati riscontrati essere entrati ed usciti in posizione laterale. Mentre qui sembra fin troppo evidente che chi ha sparato ha mirato in modo preciso ed in posizione frontale rispetto alla schiena della vittima. Pare essere molto strana tutta questa precisione se si considera che la persona si sarebbe agitata e mossa bruscamente per pararsi davanti al suo amato; una dinamica del genere, sempre credendo alla versione ufficiale, ci lascia davvero stupiti, visto che è quasi impossibile che accada normalmente....
- la contraddizione stessa di Valerio nel raccontare la dinamica della morte, prima ammettendo che dopo il Duce toccò a lei (vedi 1^ versione da “L’Unità” del 30 aprile 1945, ovvero due giorni dopo gli avvenimenti di Bonzanigo. All’epoca così Valerio liquidava la questione Petacci) :“…Da una distanza di tre passi feci partire cinque colpi contro Mussolini, che si accasciò sulle ginocchia con la testa leggermente reclinata sul petto. Poi fu la volta della Petacci…” Questo resoconto con quel “poi” fu la volta della Petacci, fa chiaramente intendere che la sua fucilazione è avvenuta per decisione volontaria e non dunque per un incidente in seguito ad un movimento “confuso” della donna. La 1^ versione, ricordiamolo, fresca degli eventi, contraddice totalmente quelle dei resoconti di sette mesi più tardi e degli anni successivi, dove si premerà invece sul tasto dell’incidente.
- Il luogo dove muore Claretta. Nel resoconto a puntate de “L’Unità” del dicembre 1945- 20^ puntata Valerio racconta :)“….cadde anche lei [la Petacci]; cadde rigida come il legno e rimase stecchita sull’erba umida….”
Nel momento di descrivere l’esecuzione di Mussolini e “l’incidente” che avrebbe portato alla morte di Claretta, Audisio afferma che ella cadde sull’erba umida. Il punto cruciale di questo particolare è che davanti al cancello di villa Belmonte non esisteva e non esiste tutt’ora alcun manto erboso; solo cemento e la sede stradale. Possibile che Audisio, anche questa volta si sia preso un abbaglio, vedendo cose che nella realtà non ci sono affatto? Ma in realtà in questo caso c’è una verità di fondo: la realtà sta nel fatto che Claretta è davvero morta cadendo sull’erba umida, ma
bensì tutt’altra parte, a circa mezzo chilometro di distanza e con circa cinque ore d’anticipo rispetto alle cosiddette 16:10…Proprio come testimonierà Dorina Mazzola...
Per tornare al quadro generale non si può scordare uno dei punti più eloquenti che smascherano le menzogne e le contraddizioni della versione passata alla storia. Stiamo parlando nello specifico dei tre differenti resoconti che i presunti protagonisti di quelle ore, Audisio, Lampredi e Moretti hanno dato in merito a quelle che furono le ultime parole di Mussolini di fronte ai suoi giustizieri.
Ricordiamo che nella versione ufficiale, i tre si trovavano insieme davanti ai cancelli di villa Belmonte, alle ore 16:10, per eseguire la condanna di Mussolini.
Secondo Walter Audisio, il Duce, impaurito di fronte al mitra del suo aguzzino, tutto tremolante e balbettante esclamò: “Ma, ma, ma.... signor colonnello!”
Secondo Aldo Lampredi, il Duce, con la massima freddezza si aprì il pastrano e disse: “Mirate al cuore!”
Secondo Michele Moretti, il Duce,freddo e caparbio gridò: “W l’Italia!”
Davvero singolare come i tre presunti protagonisti di quei fatidici minuti si smentiscano l’un l’altro, non mettendosi d’accordo nemmeno su quelle che furono le ultime parole pronunciate dal Duce. C’è una bella differenza tra implorare balbettanti, ed aprirsi il cappotto chiedendo di mirare al petto o addirittura gridare un evviva al proprio paese. Davvero incredibile come un evento di così grande importanza storica venga ricostruito in tre differenti modalità totalmente discostanti fra loro, da tre persone che dicono di essere stati presenti ed aver partecipato all’esecuzione di Benito e Claretta. Come mai le loro dichiarazioni non coincidono? Mistero... Forse perchè nella realtà davanti a quel cancello si è sparato solamente su due cadaveri per inscenare una fucilazione? Oramai ne siamo convinti e tutte le prove portano a questa tesi. Certamente questa contraddizione dei tre pseudo-protagonisti è uno dei misteri e delle gaffe più clamorose di tutto il racconto descrittoci.
Basterebbe solo questo per contraddire e smentire definitivamente la versione ufficiale...
Ci sono tanti altri aspetti contraddittori nella ricostruzione passata alla storia, che si potrebbero velocemente elencare:
ERRORI LOGISTICI
Si descrivono strade percorse in salita per raggiungere casa De Maria, su tragitti che al contrario sono in discesa o al massimo pianeggianti. Si parla di una casa incastonata nella montagna con le scalette scolpite nella roccia, quando in realtà l’abitazione è ben distante dai monti e con le scale costruite con materiali comuni. Si parla di una stanza senza finestra dove venne fatto rinchiudere il Duce, quando invece quella stanza una finestra l’ha eccome. Si parla di una strada scoscesa, quando il manto stradale, stando al tragitto che ci viene riportato, non presenta alcun difetto. Si parla di una strada stretta dove la macchina non può passare, dove invece, stando sempre alla descrizione del percorso eseguito ufficialmente, lo spazio c’è sicuramente.
ERRORI DI PERSONA
Si descrive la presenza di “Bill” nel gruppo che va in casa De Maria, quando in realtà il partigiano non ha mai messo piedi a Giulino di Mezzegra.
Si scoprirà poi essere uno scambio di persona, confondendolo con Moretti, cosa questa comunque strana perché il vero colonnello Valerio conosceva bene entrambi.
Si sbaglia il nome dell’autista personale di Valerio, che in realtà era Geninazza, anche qui cosa curiosa perché Audisio avrebbe dovuto conoscerlo molto bene, visto che era il suo autista. O almeno, era l’autista del vero colonnello Valerio.
ALTRI GROSSOLANI ERRORI
Nel resoconto a puntate de “L’Unità” del novembre 1945 – 19^ puntata Valerio racconta:
“…Mussolini in piedi vicino al letto, indossava un soprabito color nocciola, il berretto della GNR, senza fregi, gli stivaloni neri di cui uno, il destro, era sdrucito di dietro…”
“…Mussolini in piedi vicino al letto, indossava un soprabito color nocciola, il berretto della GNR, senza fregi, gli stivaloni neri di cui uno, il destro, era sdrucito di dietro…”
nel libro di Walter Audisio,“In nome del popolo italiano” uscito nel 1975, si legge:
“…Ci avviammo per la mulattiera… Lui, più Duce che mai, camminava spedito, sicuro, con un’aria tra il soldato che marcia e l’uomo che ha fretta……”
“…Ci avviammo per la mulattiera… Lui, più Duce che mai, camminava spedito, sicuro, con un’aria tra il soldato che marcia e l’uomo che ha fretta……”
Però! Un autentico fenomeno! Com’è possibile che Mussolini potesse camminare sicuro e spedito come un soldato che marcia o comunque andando di fretta, se è vero che Valerio, entrando nella stanza ha subito notato che il Duce aveva gli stivali rotti, o comunque almeno uno sdrucito? E per rotti si intende ciò che abbiamo visto: uno stivale totalmente aperto….. la cui motivazione non sta in una sdrucitura, ma bensì nella rottura della cerniera nella parte bassa della calzatura, impedendo dunque di poterlo chiudere (come Giorgio Pisanò ha riscontrato nel 1996, esaminando lo stivale nella cripta del cimitero di Predappio. Fotografie reperibili nel suo libro “Gli ultimi 5 secondi di Mussolini”). Com’è possibile che il Duce, se è vero che già dentro la sua stanza aveva lo stivale in quelle condizioni, potesse poi camminare per la strada in modo sicuro e spedito? In quella circostanza era praticamente impossibile muoversi a piedi da casa De Maria, a meno che non fosse uscito di casa scalzo (ma in questo caso, difficilmente avrebbe camminato spedito e comunque non esistono alcune testimonianze che fondino eventualmente questa tesi) oppure, cosa più probabile, che sia stato trascinato di peso, perché morto…
Vi è poi la questione della colazione. Si è detto che Mussolini avrebbe mangiato nella tarda mattinata un po’ di frutta, del salame, della polenta e del latte. Il problema, anzi, l’anomalia, sta nel fatto che dall’autopsia eseguita dal Dottor Mario Cattabeni, risulta inequivocabilmente che Mussolini non aveva alcun resto di cibo nello stomaco..... Com’è allora possibile?! Se, come vuole la versione ufficiale, il Duce avesse effettivamente mangiato in casa De Maria verso mezzogiorno, allora quando venne poi successivamente ucciso, sempre secondo la versione ufficiale, intorno alle 16:10 avrebbe dovuto portare per forza di cosa nello stomaco ancora i resti del cibo. Come mai invece ne era totalmente privo? La digestione non può consumarsi in così breve tempo! Allora le cose sono due: o non ha mangiato ed il suo stomaco non ingeriva cibo fin dalla sera del giorno prima, quando cenò nella caserma di Germasino, oppure è stato ucciso prima di arrivare a mezzogiorno (comunque senza mangiare...)
A lasciare ulteriormente perplessi, sono le testimonianze che arrivano da coloro i quali notarono che in Mussolini era già presente la rigidità cadaverica, subito dopo la presunta sentenza di Villa Belmonte delle 16:10.
Il partigiano Giacomo Bruni, colui che caricò i cadaveri di Mussolini e la Petacci verso le 18:00 sul camion che li avrebbe poi trasferiti a Milano, in Piazzale Loreto, conferma che la salma del Duce non perdeva più sangue e che il corpo non era mollo come quello di uno che è stato appena ucciso, ma rigido e pesante, tanto che esclamò stupito: “Come pesa sto Mussolini!” Appunto, pesava come pesa normalmente un cadavere che è tale da molte ore.... E il sangue, che fine aveva fatto? Si era già coagulato in meno di due ore? Impossibile...
Anche Roberto Remund, partigiano presente in quelle ore a Giulino di Mezzegra, ricorda una serie di anomalie: dopo la fucilazione davanti villa Belmonte, lui si recò subito sul posto e notò che né il Duce, nè la Petacci perdevano sangue…
Inoltre, cosa non trascurabile, Remund testimonia un ulteriore e fondamentale particolare: giunto sul posto vide in terra sia Mussolini che la Petacci, rannicchiati su se stessi… Rannicchiati, possiamo aggiungere noi, come due cadaveri che sono stati nascosti per ore in uno spazio stretto, tipo il bagagliaio di un auto…(come alcune testimonianze riportate nell’inchiesta di Giorgio Pisanò). Molto anomala questa posizione se consideriamo che Audisio ha affermato: “[Mussolini} si afflosciò sulle
ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto....”
E allora, come poteva essersi rannicchiato su se stesso se era rimasto inginocchiato ed appoggiato al muro? E guarda la coincidenza, pure la Petacci assunse quella stessa e strana posizione…… E’ evidente quindi che le testimonianze susseguitesi negli anni, che parlano del fatto che i due cadaveri vennero caricati sul bagagliaio di un auto e nascosti lì per ore, hanno a questo punto una loro ulteriore e logica conferma.
A voi l’ennesima riflessione……
Si potrebbe continuare a lungo ad esaminare gli errori e le contraddizioni della versione ufficiale, le testimonianze che smontano i particolari degli avvenimenti descrittici da Audisio, (alias, il presunto colonnello Valerio) ma possiamo ritenere che quanto esposto fin qui sia sufficiente per gettare definitivamente nell’immondizia questa palese falsità che ci è stata tramandata ed imposta per oltre sessant’anni.
Quello su cui dobbiamo lavorare adesso è la ricerca della sacrosanta verità vera.
Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini
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