domenica 15 novembre 2009

LUIGI CANALI: IL PARTIGIANO CHE TENTO' DI SALVARE MUSSOLINI, L'ORO DI DONGO E IL CARTEGGIO....

La vicenda che stiamo per narrarvi è una di quelle storie sconosciute che rientrano a pieno titolo nella censura volutamente messa in atto dalla storiografia ufficiale di questo paese. Per oltre mezzo secolo infatti si è cercato di nascondere, per precise ragioni politiche, la figura di Luigi Canali, e ciò che gli accadde, al punto da cancellarlo praticamente dalla storia, limitandosi solamente a relegarlo come semplice comparsa degli eventi dell’aprile 1945. 
La realtà invece, come vedremo fra poco, è però ben diversa.... Egli fu custode in quelle ore concitate del destino di Benito Mussolini e Claretta Petacci, ma anche di tutti i documenti trovati nelle sue borse (tra cui il carteggio segreto con Winston Churchill) e pure tutto l’oro in possesso della colonna fascista fermata nei pressi di Dongo (di cui fece censire l’intero ammontare). Il suo ruolo che entrava in netta contrapposizione alle prerogative dei partigiani comunisti, il suo essere testimone scomodo di eventi inconfessabili e documenti da far sparire, ne sancirono pochi giorni dopo la sua scomparsa....

LA STORIA 

Luigi Canali, più comunemente conosciuto con il nome di battaglia di “Capitano Neri”, è sicuramente l´uomo più enigmatico di tutta la vicenda che riguardò la morte di Benito Mussolini. Nato a Como nel 1912, per anni lavorò come impiegato, fino allo scoppio della guerra. Nel 1936 aveva partecipato alla campagna in Africa Orientale (nell´epopea della conquista imperiale); durante il secondo conflitto mondiale venne inviato sul fronte russo, dove si distinse per il suo valore ed ottenne il conseguimento del grado di capitano, per meriti di guerra. 
Dopo la ritirata di Russia, dal quale rientrò indenne, decise, una volta giunto l´otto settembre, di costituire una formazione partigiana (la 52^ brigata Garibaldi “Luigi Clerici”) e di combattere operando nelle zone del comasco. Pur avendo aderito al partito comunista, il Neri unirà a se uomini di fede non comunista ed in genere non schierati politicamente, soprattutto attingendo fra molti compagni e reduci della campagna di Russia; fra i nomi che poi passeranno alla storia, ad affiancarlo c´erano il conte Pier Luigi Bellini delle Stelle (“Pedro”), sottoufficiale del Regio Esercito, ed Urbano Lazzaro (“Bill”) che passò alla storia per aver individuato Mussolini sul camion dei tedeschi a Dongo.
Ai primi di gennaio del 1945, il Capitano Neri venne catturato insieme alla sua fidanzata Giuseppina Tuissi (“Gianna”), dai soldati della Brigata Nera di Como; in quei stessi giorni, finiranno in galera altri due personaggi che poi si riveleranno determinanti per la morte di Canali… i loro nomi erano: Umberto Morandi (”colonnello Lario”) comandante di tutte le formazioni garibaldine del comasco, e Dante Gorreri (”Guglielmo”) capo del partito comunista di Como. Durante gli interrogatori eseguiti dal comandante della Brigata Nera, sia Morandi che Gorreri avrebbero “parlato”….. avrebbero fatto in sostanza la spia; il primo addirittura, pur di vedersi risparmiata la vita, sarebbe stato un autentico fiume in piena e lo fa davanti a tutti, compreso al Neri, non risparmiandosi su nulla e presumibilmente spifferando pure tutti i dettagli logistici e militari riguardanti le formazioni partigiane della zona. Il secondo invece è un caso ancora più enigmatico: come testimonierà poi il comandante della Brigata Nera comasca, Vittorio Galfetti, alcuni suoi superiori vennero a prelevare il Gorreri per fucilarlo, ma giunti al confine svizzero, gli concessero inspiegabilmente la libertà…… Perché? Aveva parlato? E se sì, quanto? Cosa mai spifferò per esser liberato così, in quattro e quattr’otto? Questo resterà per sempre un mistero……. Fatto sta che alcuni giorni dopo, il 25 gennaio, il comandante delle divisioni garibaldine della Lombardia, Pietro Vergani (”Fabio”) emana una condanna a morte per il Capitano Neri, con l´accusa di tradimento; secondo le “fonti” da lui ricevute, Canali non avrebbe resistito alle torture e avrebbe spifferato tutto. Ma una voce del genere (tra l’altro infondata) come potrebbe essere giunta fino a Vergani, se non da qualcuno che là vi era stato? E chi fra i “presenti” poteva avere l´interesse di affermare una cosa del genere, se non per deviare verso qualcun altro le proprie responsabilità e le conseguenze del tradimento? 
E´alquanto evidente, stando alle testimonianze, che possa esser stato presumibilmente uno tra Morandi e Gorreri, se non addirittura entrambi, una volta liberati, ad aver rivelato al Vergani che il tradimento era giunto dal Neri. D´altra parte Luigi Canali era ormai diventato uno scomodo testimone e la cosa migliore da fare, secondo qualcuno, era eliminarlo… Vergani, che evidentemente non aveva alcuna simpatia per Neri, tanto che in passato avevano già avuto degli scontri personali che li portarono in rotta di collisione, (per la ferrea opposizione di Neri a certe direttive di partito) preferì credere a queste voci, giunte proabilmete sia da Morandi (che lui stesso nominò nel´44 a capo di tutte le brigate garibaldine comasche al posto, guarda caso, di Neri) che dal potente dirigente Gorreri.
Fu in questo clima che venne emanata la condanna a morte per Neri, decisa da Vergani insieme a Lampredi e a Giovanni Pesce “Visone”,(colui che fu responsabile dell´attentato gappista a Piazzale Loreto nel´44) quando Canali si trovava ancora prigioniero delle Brigate Nere…. 
Ma l´assurdità e l´inconsistenza di quelle voci furono confermate anche dal comandante della Brigata Nera comasca, Vittorio Galfetti, dove, anni dopo testimonierà che Canali ebbe un comportamento dignitoso ed impeccabile, e non si lasciò mai sfuggire nulla. Insomma, non aveva per niente tradito. Ma la sua fuga rocambolesca, quattro giorni dopo, quasi come uno scherzo del destino fece innalzare e quasi confermare le accuse mossegli da Vergani e soci…… 
Una volta fuggito e preso atto che non poteva più fidarsi dei suoi compagni, dal momento che gli avevano decretato contro una condanna a morte, sarà proprio in questo preciso periodo che il Capitano Neri s´avvicinerà agli agenti dei servizi segreti inglesi, o quantomeno riallaccerà i rapporti precedentemente già esistenti, cercando di collaborare così con le truppe Alleate. Ma a Como e in tutte le zone lariane, nessuno credette al tradimento di Neri, tanto che verrà subito reintegrato nelle file della sua brigata partigiana e nominato capo di stato maggiore della 52^. Da lì a poco giungerà quel fatidico 27 aprile 1945, quando Luigi Canali incontrerà sulla sua strada colui che gli cambierà per sempre il destino: Benito Mussolini. Paradossalmente, avendo gestito la sua sorte e quella dei suoi averi (oro e carteggi) finirà per seguirne lo stesso triste e tragico epilogo……
Dopo che a Dongo venne fermato Mussolini, è proprio il Neri che fin dalla sera del 27 aprile gestisce la custodia del prigioniero, cercando più volte di portarlo in salvo (prima nella caserma di Germasino, poi a Moltrasio dove sarebbe dovuta giungere un´imbarcazione americana per portare via il Duce, infine a Bonzanigo di Mezzegra nella casa di amici, i coniugi De Maria). 
E´ lui che in quelle ore si oppone fermamente all´omicidio di Mussolini, cercando in tutti i modi di salvargli la vita e di formare un tribunale che concedesse al prigioniero il diritto a difendersi in un regolare processo. 
E´ sempre lui che si mette in contatto con gli inglesi, per dar loro le coordinate circa la posizione di Mussolini, per venirlo a prelevare e metterlo al sicuro dalle grinfie dei comunisti…. 
E´ sempre Neri che nei giorni successivi confiderà alla madre che la morte del Duce fu un atto illegittimo, del tutto arbitrario e che non doveva finire in quel modo… 
E´ il Neri, insomma, uno fra quelli che vide cosa accadde veramente quel 28 aprile del 1945 a Bonzanigo di Mezzegra, sia a Mussolini che alla Petacci, e che nulla poté più fare quando si trovò davanti sulla sua strada il comandante di tutte le brigate garibaldine, nonché numero due del partito comunista, Luigi Longo (il vero assassino del Duce?)….. 
La fatidica mattina in cui fu ucciso Mussolini, egli era rientrato a Como insieme a Michele Moretti (commissario politico comunista della 52^); poco dopo Luigi Longo, che nel frattempo era giunto a Como, salì in macchina col Moretti, Dante Gorreri e il comandante “Riccardo” (Alfredo Mordini) dirigendosi spedito nella casa dei De Maria per eseguire la sentenza di morte. Con grande abilità si sbarazzarono sia del Neri, che rimasto a piedi rientrò a Bonzanigo solo più tardi (forse un´ora dopo), che di Walter Audisio (il fantomatico colonnello Valerio) il quale quest´ultimo rimase a litigare per ore coi compagni di partito per farsi consegnare un camion (convinto ancora di andare a prendere Mussolini e gli altri gerarchi per condurli in carcere a Milano). 
Quando verso le 10:00-10:30 del mattino Luigi Canali riesce a tornare nella casa dei De Maria, accompagnato da Aldo Lampredi (rimasto apposta a Como per tenere a bada il Neri) troverà Mussolini già morto. Circa un´ora e mezza più tardi qualcuno farà fuoco anche alla povera Claretta Petacci. Alle 16:10 i corpi di Mussolini e della Petacci verranno posizionati davanti al cancello di villa Belmonte, per la sceneggiata da tramandare alla storia, dove qualcuno, forse Moretti, sparerà sui loro cadaveri “in nome del popolo italiano”…. 
Dopo quel tragico 28 aprile, il Neri non si piegherà più alle direttive di partito e cercando di far prevalere la sua onestà morale, 
s´opporrà fermamente all´uso che i comunisti vorranno fare dei documenti sequestrati a Dongo e di tutto l´oro requisito sui camion della colonna fascista. Perché, ricordiamolo, è sempre lui che scoprirà le scottanti carte che Mussolini aveva con se, ed è sempre lui che gestendo la situazione ordina di censire tutto l´oro sequestrato in quelle ore. In quei giorni, il Capitano Neri aveva capito subito ciò che i “compagni” comunisti volevano fare sia con l´oro che con le carte segrete, ovvero impossessarsene, ed è per questo che inizia un lungo braccio di ferro tra lui e l´altro esponente di spicco, quel Dante Gorreri, compagno di prigionia e presunto responsabile di quelle voci infondate sul tradimento di Canali, che aveva nel frattempo ufficialmente ricevuto i pieni poteri sulla gestione del materiale requisito (e che già aveva ordine di farlo finire nelle casse del partito comunista). Sono ormai inconfutabili le prove che in quelle ore i due arrivarono ad uno scontro verbale talmente duro, che avrebbe sancito per sempre una spaccatura e la successiva condanna a morte per Canali. In quel frangente, i testimoni udirono entrambi urlare nella sede del partito, tanto che Neri ad un certo puntò affermò: 
“…Finalmente si vedrà chi dei due ha tradito veramente!” 
Il Neri, che senz´altro si riferiva a quel che avvenne durante il loro periodo di prigionia nelle carceri delle Brigate Nere, aveva deciso di mettere in salvo tutto l´oro, che lui riteneva giustamente appartenere di diritto allo stato italiano, visto che già i comunisti giorno dopo giorno avevano iniziato a farne sparire alcune porzioni, indignando lo stesso Canali; ma allo stesso tempo intendeva mettere al sicuro pure tutti i documenti ritrovati nelle borse di Mussolini, avendo lui capito che si trattava di carte davvero importanti per la storia e per le sorti dell´Italia. 
Tutto era già stato stabilito: il 7 maggio avrebbe portato ogni cosa nella sede di una banca di Domaso, al sicuro da mani comuniste. Ma in quella banca, lui non vi arriverà mai…… Questo era davvero troppo per i comunisti, e per Gorreri in testa: non potevano più sopportare le “bizze” di questo compagno così indipendente, così ribelle, ma soprattutto così nobilmente onesto. Se avesse parlato, se avesse agito in quel modo, tutto sarebbe saltato alla luce: dalla vera morte di Mussolini, alle sue carte segrete, dall´oro trafugato a Dongo, al tradimento di Dante Gorreri…. 
La mattina del 7 maggio 1945, alcuni uomini aspettarono sotto casa Canali, che si stava proprio recando a Domaso: venne fatto salire sulla loro auto, poi sparirà per sempre…. Il suo corpo, finito presumibilmente nel lago di Como, non verrà mai più ritrovato. La sera prima di morire, Neri confidò alla madre di esser disgustato dal comportamento dei comunisti e di voler ritirarsi dalla vita pubblica, non prima però di aver messo al sicuro tutto ciò che lui stesso aveva requisito a Dongo il 27 aprile. Venne fatto tacere per sempre e la storiografia ufficiale volle far dimenticare quasi definitivamente la sua figura, così importante e così determinante negli eventi: lui non era allineato, lui era troppo onesto per vivere e per rivivere nelle storie della resistenza….. assassinato, occultatone il cadavere, dimenticato per sempre dalla storia, che lo relegherà soltanto come piccola comparsa degli eventi di Dongo….. 
Motivo di tutto questo? Quello che avete appena letto, che si può esplicitamente riassumere così:

1) Si era rifiutato di consegnare al partito comunista italiano tutto 
l´oro confiscato a Dongo, cercando di metterlo al sicuro in una banca di Domaso, per darlo poi allo stato italiano, che lui considerava l´unico legittimo proprietario. Sapeva quindi, della fine che i comunisti volevano far fare all´oro requisito a Dongo.
2) Si era rifiutato di lasciare nelle mani del p.c.i. i documenti presenti nelle borse del Duce, tra cui il carteggio “Churchill-Mussolini”, cercando di portarlo al sicuro, sempre nella famosa banca di Domaso. Sapeva quindi, dell´esistenza del carteggio “Churchill-Mussolini”
3) Aveva visto come morirono veramente Mussolini e la Petacci e quindi sapeva tutto, compreso il nome del vero giustiziere e della successiva finta fucilazione a villa Belmonte.
4) Sapeva del (presunto) tradimento di Dante Gorreri, quand´egli era in prigione con lui nel carcere della Brigata Nera comasca.

In sostanza, era diventato uno scomodo testimone di fatti inenarrabili, ed un serio ostacolo alle ruberie comuniste ed al loro strapotere che presto si sarebbe instaurato in Italia.
Davvero difficile trovare in quei giorni qualcuno che avrebbe agito come lui. Ma di fatto, per questa sua onestà e serietà, morì… 
Alla fine della sua vicenda possiamo essere fermamente convinti di una cosa: se il Capitano Neri fosse sopravvissuto a tutti quei tragici eventi, oggi la storia d’Italia sarebbe un´altra, sia nei racconti fin qui tramandatici, sia nelle conseguenze che certe notizie venute a galla, avrebbero avuto nel nostro Paese e nel resto dell´Europa…..

di M.M.

Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini

venerdì 13 novembre 2009

I CONTENUTI (presunti) DEL CARTEGGIO MUSSOLINI-CHURCHILL

Ci sono molte testimonianze, più o meno attendibili, che ci riportano quelli che possono essere i reali contenuti della corrispondenza segreta tra il Duce ed il premier inglese.
Quello che possiamo dare per certo è che Churchill si spese per convincere l’Italia a restare fuori dal conflitto, garantendo in cambio territori in Africa settentrionale e probabilmente territori francesi (vedi Nizza e Savoia) oltre che greci (le isole del Dodecanneso) e la restituzione definitiva della Dalmazia. 
La cosa effettivamente compromettente per la Gran Bretagna sarebbe perciò quella di aver promesso all’Italia territori di altre nazioni, fra oltretutto alleate degli inglesi, senza minimamente interpretare la Francia in primis, ma anche le altre nazioni chiamate in causa. Questo almeno è ciò che trasparirebbe dalla prima parte dei carteggi.
Esiste infatti una seconda fase della corrispondenza tra Mussolini e Churchill, che sarebbe ripresa nell’estate del 1944 (dopo una lunga interruzione di quasi tre anni).
Qui le cose si farebbero ancora più compromettenti. Infatti gli innumerevoli incontri avvenuti sulle sponde del Garda, nel complesso amministrativo di Salò, tra esponenti del governo della Repubblica Sociale ed emissari inglesi e americani, riportano prepotentemente alla ribalta la questione. Ad un paio di questi incontri vi avrebbe partecipato direttamente anche lo stesso Mussolini. Qui non vi sono dubbi sulle motivazioni di quelle riunioni: l’Italia avrebbe convinto la Germania a raggiungere una pace separata con l’Inghilterra e gli Stati Uniti, ponendo quindi fine alle ostilità, per unirsi tutti insieme nel contrastare la preoccupante avanzata bolscevica dell’Unione Sovietica nel cuore dell’Europa. In sostanza avremmo assistito ad un capovolgimento del fronte, con conseguenze clamorose, se non fosse che solo all’ultimo momento gli Alleati rinunciarono, perché oramai era prossimo il loro successo sulle forze dell’Asse. 
I punti principali, come ricorderà poi nelle sue testimonianze anche un ufficiale della Decima Mas, Sergio Nesi, presente ad una di quelle riunioni, erano precisamente i seguenti:

1) Legale riconoscimento dello stato della Repubblica Sociale Italiana
2) Armistizio “con condizioni” con la R.S.I. e successivamente anche con la Germania.
3) Formazione di un’alleanza tra R.S.I., Germania, Inghilterra e Stati Uniti per volgere le proprie armate contro l’Unione Sovietica.
4) Spostamento della 5^ armata americana e dell’8^ armata britannica (quelle del generale Patton e del generale Montgomery) insieme alle truppe della R.S.I. e a quelle tedesche, tutte di stanza in Italia, sui confini orientali (per fermare l’invasione di Tito e per chiudere la strada alla successiva avanzata delle truppe dell’armata rossa). 

In quest’ottica rientra anche il piano De Courten, dove truppe del Regio esercito del governo del sud Italia, in collaborazione con la Decima Mas e la brigata partigiana Osoppo (di sicura fede democratica ed anticomunista) avrebbero dovuto in gran segreto collaborare e quindi operare una difesa dei confini orientali italiani dall’invasione jugoslava delle truppe comuniste di Tito.
A confermare queste clamorose proposte ci sono, oltre che la testimonianza di Sergio Nesi, quella del principe Junio Valerio Borghese, quella di Pietro Carradori (attendente del Duce, che lo accompagnò personalmente almeno a due incontri, il 21 settembre del 1944 ed il 21 gennaio del 1945); ma anche Ermanno Amicucci, all’epoca direttore del Corriere della Sera e amico del Duce,(che testimonia di aver visto Mussolini recarsi ad incontri con emissari inglesi, iniziati già nel giugno del 1944 e dove in un occasione il Duce andò all’appuntamento da solo, guidando personalmente una balilla); oppure Alfredo Cucco, sottosegretario alla cultura popolare, che testimonia di ripetuti incontri avvenuti con autorità britanniche, già nell’estate del 1944, o ancora il generale Ruggero Bonomi, sottosegretario dell’Aeronautica Repubblicana, anch’egli testimone di riunioni avvenute in gran segreto su alcune ville della Lombardia, messe a disposizione da proprietari che avevano contatti diretti con gli inglesi. Senza dimenticare inoltre la testimonianza di Claudio Ersoch, nipote di Tommaso David (capo dei servizi segreti della R.S.I.) in cui dichiara che suo nonno gli raccontò che i cosiddetti documenti segreti di Mussolini potevano valere come arma di scambio per ridare all’Italia l’Istria, in quanto specificò chiaramente come fra quelle carte c’erano dimostrati gli accordi che tra il 1944-45 i membri della R.S.I. e quelli della Germania avevano avuto con l’Inghilterra e gli Stati Uniti per giungere ad una pace in Europa ed unirsi assieme contro l’invasione dell’Urss. 
C’è anche la testimonianza di Alberto Botta, che riporta le dichiarazioni del fratello Ercole, (il partigiano “Capitano Fede”) che fu uno fra quelli che lesse i contenuti del carteggio, dove anch’egli riscontrò fra l’altro questo tentativo di accordo fra R.S.I., Germania e Angloamericani per allearsi e combattere uniti l’Urss di Stalin.
Non sappiamo di preciso se i contenuti sopra elencati potranno avere un giorno ulteriori ed inequivocabili conferme, tuttavia è interessante riproporre l’unica lettera scritta di cui siamo effettivamente in possesso, che è assai indicativa nel confermare la presenze di accordi tra i due statisti. 
La scrisse Mussolini il 24 aprile 1945, che la consegnò poi in prefettura a Milano al tenente delle SS Franz Spoegler, incaricato di farla pervenire al premier britannico. Così si legge in questa ultima lettera:
“Eccellenza,
gli eventi purtroppo incalzano. Inutilmente mi si lasciarono ignorare le trattative in corso tra Gran Bretagna e Stati Uniti con la Germania. Nelle condizioni in cui dopo cinque anni di lotta è tratta l’Italia, non mi resta che augurare successo al Vostro personale intervento. Voglio tuttavia ricordarvi le Vostre stesse parole: -L’Italia è un ponte. L’Italia non può essere sacrificata- Ed ancora quelle della Vostra stessa propaganda, che non ha mancato di elogiare ed esaltare il valore sfortunato del soldato italiano.
Inutile è inoltre rammentarvi quale sia la mia posizione davanti alla storia. Forse siete il solo oggi a sapere che io non debba temerne il giudizio. Non chiedo quindi mi venga usata clemenza, ma riconosciuta giustizia e la facoltà di giustificarmi e difendermi. Ed anche ora, una resa senza condizioni è impossibile perché travolgerebbe vincitori e vinti.
Mandatemi dunque un vostro fiduciario; vi interesseranno le documentazioni di cui potrò fornirlo di fronte alla necessità di imporsi al pericolo dell’Oriente.
Molta parte dell’avvenire è nelle Vostre mani. E che Dio ci assista”. - Benito Mussolini

Vogliamo chiudere questo argomento ricordando ancora questa passaggio della lettera, secondo noi eloquente più di ogni altra frase:
“....Inutile è inoltre rammentarvi quale sia la mia posizione davanti alla storia. Forse siete il solo oggi a sapere che io non debba temerne il giudizio.....”
Forse proprio perchè Churchill era l’unico a saperlo, si è chiusa per sempre la bocca a Mussolini e alla Petacci, facendo sparire nel nulla le prove scottanti di quelle lettere....

Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini

giovedì 3 settembre 2009

IL CARTEGGIO MUSSOLINI-CHURCHILL: Le conferme

LE CONFERME DELLA SUA ESISTENZA

“Fate attenzione! In quelle borse ci sono documenti molto importanti per il futuro dell’ Italia!”
E’ con questa misteriosa ammonizione che Mussolini fece capire al partigiano Bill, l’uomo che poco prima lo aveva scoperto sul camion tedesco e messo poi in stato di fermo, che fra i suoi documenti esisteva qualcosa di veramente scottante e determinante per il giudizio della storia e per le conseguenze che si sarebbero potute verificare da lì in avanti nel nostro Paese e forse anche nel resto d’Europa.
Da quel preciso momento avrà inizio il lungo enigma del carteggio, che ci calerà esclusivamente in un’atmosfera cupa, impregnata soltanto di terrore, mistero e morte....... Molte persone saranno costrette al silenzio, sotto costante minaccia; ad altre invece, verrà chiusa la bocca per sempre....
E’ oramai certo che il Duce portasse con se documenti molto importanti per il nostro futuro e per la storia: ma esattamente quali? Forse gli originali e le copie delle 62 o più lettere che Mussolini e Churchill si erano scambiati in tutti quegli anni e che per ragioni più o meno oscure non avevano mai cessato di proseguire, nonostante la guerra? Probabilmente.......
A tal proposito è molto interessante la conferma che ci viene dai registri pubblici della Public Record Office di Londra, dove, una volta divulgati, si sono potuti scoprire due importanti elementi:
1) vi è un documento che dimostra l’esistenza di un’operazione dei servizi segreti britannici per uccidere Benito Mussolini. A capo di questa operazione venne designato un agente segreto con il nome in codice “Capitano John”.
2) Un altro documento trovato fra i registri, si riferisce in maniera esplicita alla questione delle presunte carte segrete, di fatto ammettendone l’esistenza e l’assoluta necessità di recuperarle quanto prima. In una nota per i servizi segreti, dopo aver accennato la presenza di un piano studiato da Mussolini per dividere gli Alleati, datato aprile 1945, ad un certo punto si legge:
“Negli archivi di Mussolini c’è molto materiale che dovremmo recuperare al più presto… Molto di questo materiale è compromettente per gli Alleati e per alte personalità italiane….”

Cosa c’era di così compromettente per gli Alleati e per alcuni importanti uomini della resistenza o del governo italiano? Ed è dunque l’ombra di questo introvabile carteggio che ha portato all’assassinio di Mussolini?
Non si può certo trascurare come a tal proposito furono profetiche le parole di Claretta Petacci, espresse in una telefonata a Mussolini il 2 aprile 1945, intercettata dai centralinisti tedeschi:
“Hanno tutti l’interesse a farti tacere per sempre! Tu dici: parlano i documenti. Ma loro sanno che i documenti si comprano, si rapinano, si distruggono. Un fatto è sicuro: se tu, se il carteggio, doveste un giorno essere in loro possesso, le tue ore di vita, nonché quelle del carteggio ,sarebbero contate!”

Ma esistono tante altre conferme, più o meno esplicite, sull’esistenza effettiva del carteggio, e la maggior parte la riscontriamo nel libro di Ricciotti Lazzero “Il sacco d’Italia” (Ediz. Mondadori) dove lo storico ha raccolto lettere e trascrizioni di intercettazioni telefoniche, di cui era in possesso l’ex comandante delle SS in Italia, Karl Wolff. Tutti gli storici ed i massimi esperti hanno potuto in seguito constatare l’autenticità inequivocabile di quei documenti.
Gli stralci più significativi, come anche Luciano Garibaldi ha riproposto nel suo libro (La pista inglese-Ediz. Ares) potrebbero in breve riassumersi in questo modo:

Il 10/09/1944 Mussolini scriveva così al ministro Graziani:
“...Soltanto il carteggio, ormai voluminoso, in caso di bisogno parlerà e spezzerà ogni lancia puntata verso di noi. Il solo conoscere l’esistenza dei miei incartamenti fa paura a troppi: da Vittorio Emanuele a Badoglio. Ma anche lo stesso Churchill e lo stesso Hitler…”

Il 09/01/1945 Mussolini scriveva di nuovo al ministro Graziani:
“…Al momento, ritengo di grande importanza portare al sicuro questi incartamenti, in primo luogo lo scambio di lettere e gli accordi con Churchill. Questi saranno i testimoni della malafede inglese. Questi documenti valgono più di una guerra vinta…”

Il 25/03/1945 Mussolini è al telefono col ministro Zerbino:
“…Mandate subito il materiale a Milano. Le altre due copie devono essere conservate in posti diversi. Io terrò poche carte. Non si sa mai a cosa si può andare incontro e bisogna in ogni modo impedire che anche una piccola parte possa cadere in mani di gente che abbia interesse a distruggerla o a nasconderla……”

La lettera che però sembra esser più eloquente di tutte, sulle conseguenze che quelle carte avrebbero avuto sia in sede storica che militare, è quella che Mussolini scrisse il 07-03-1945 al ministro Graziani. Eccone lo stralcio più significativo:
“…Churchill sa che io ho le cartucce pronte. Certamente si mangia le unghie per la sua lettera dell’ottobre 1940, ora che si trova nelle grinfie dell’orso russo. E se io agissi? La sua posizione diverrebbe insostenibile, sarebbe la fine, potrebbe avere come conseguenze il suo siluramento. Fine per noi augurabile? No, non sono di tale avviso. Per noi è un ponte, un appiglio in caso di estrema necessità. Tutto questo Churchill lo sa benissimo…”

Cosa poteva mai esserci scritto di così clamoroso tanto da far dire al Duce: “questi documenti valgono più di una guerra vinta...”? Ed è eventualmente per queste carte che Churchill in persona, nei mesi successivi alla fine della guerra, si recò più volte in Italia, proprio nei luoghi teatro delle ultime vicende mussoliniane, come Villa Gemma a Gardone, luogo in cui visse Carlo Alberto Biggini, ministro della Repubblica Sociale Italiana, il quale si dice fu costretto dal precipitare degli eventi ad abbandonare nella sua casa una copia del carteggio? Guarda caso la stessa abitazione in cui il premier inglese si farà fotografare quell’estate. Proprio una strana coincidenza....Come mai si trovava proprio lì?
I testimoni che dicono di aver visto queste carte sono molti, compreso esponenti della resistenza. 
Fra i tanti è interessante riportare lo stralcio di una lettera scritta da Oscar Sforni, segretario del comitato di liberazione nazionale (CLN) di Como ai suoi superiori del distretto provinciale, il 29 settembre del 1945:
“…Esistevano, e ciò era notorio, documenti di un valore eccezionale facenti parte dell’archivio segreto di Mussolini, e oltre ai carteggi storici delle varie conferenze di Stresa, di Monaco, ecc., vi era un carteggio personale fra Mussolini e Churchill e fra Mussolini e Chamberlain…. Ora si è avuta la notizia incredibile che questi documenti, di una importanza così evidente per la nazione e per la storia, sono stati ritirati da ufficiali inglesi dell’Intelligence Service, in occasione della venuta di Churchill sul lago di Como....”

Che dire di più? Se perfino un esponente di spicco del CLN comasco dichiara esplicitamente quel che abbiamo appena letto, evidentemente qualcosa dev’esser pur esistito fra quei documenti in mano al Duce….
Esistono altri importanti testimoni, sicuramente credibili vista la loro posizione, come ad esempio:
-Luigi Carissimi Priori, capo dell’ufficio politico della questura di Como dopo il 25 aprile.Fu presente quando vennero fatte alcune fotocopie del carteggio (le carte erano quelle sequestrate a Dongo dalle borse del Duce). Egli afferma di averne letto anche i contenuti, parlando di una sessantina di lettere, datate tra il 1936 ed il 1940.
- Aristide Tabasso, capo della polizia partigiana di Verona. La sua storia appare sui giornali e lui pubblicamente si rivolge ad Umberto II° di Savoia perché renda noto a tutti il contenuto del carteggio (pochi mesi dopo morirà in circostanze poco chiare). Successivamente abbiamo la testimonianza del figlio Franco che fu presente la sera in cui il padre aprì la valigia contenente quei scottanti documenti, e dove un giornalista tentò vanamente di convincerlo a lasciargli fotografare alcune carte, sotto compenso.
- Massimo Caprara, segretario per vent’anni di Palmiro Togliatti. Ha dichiarato in molte interviste ed anche nei libri che ha scritto, che le carte sequestrate a Dongo, o copie di esse, furono prese da Emilio Sereni, funzionario del Pci e consegnate a Togliatti. Successivamente il leader comunista riuscì a “ricattare” Churchill, fino a quando decise di consegnargli le copie in suo possesso,in cambio di denaro (2.500.000 di lire dell’epoca).
-Urbano Lazzaro “Bill”. Secondo la sua testimonianza, diede in consegna al partigiano Renzo Bianchi la borsa che sequestrò a Dongo a Marcello Petacci (fratello di Claretta). Successivamente il Bianchi gli avrebbe raccontato di aver visto, rovistando nella borsa, una cartellina rosa con scritto:
“Corrispondenza Churchill-Mussolini”. Non si può inoltre dimenticare che nelle sue memorie “Bill” ricordava sempre la frase chiara ed inequivocabile con cui Mussolini gli si rivolse, non appena il partigiano prese in mano le sue borse:“Fate attenzione! In quelle borse ci sono documenti molto importanti per il futuro dell’Italia!”
A tutte queste, ed altre che si potrebbero aggiungere, vogliamo citarne una che proviene direttamente da Elena Curti, presunta figlia segreta di Mussolini, la quale gli stette accanto nell’ultimo periodo della sua vita, con mansioni all’interno di un ministero della R.S.I. Quella fatidica mattina del 27 aprile anche lei si trovava nella colonna fermata a Dongo e poté testimoniare di aver visto il Duce portare con se le due famose borse di cuoio, più una busta di pelle. Ad un certo punto Mussolini, rivolgendosi a lei, affermò che con se aveva documenti di estrema importanza e sorprendenti.... Le sue parole precise furono: 
“.......Qui c’è la verità di come sono andate le cose e chi sono i veri responsabili della guerra. Il mondo deve saperlo e si sorprenderà!” (tratta dal libro “Il chiodo a tre punte” di Elena Curti, ediz. Iuculano).

Forse non sapremo mai quali segreti si celano dietro quei documenti, ma sappiamo per certo che il carteggio Mussolini-Churchill è realmente esistito. Probabilmente negli archivi segreti di Londra, o in qualche archivio del vecchio Pci, o forse in quelli di Mosca, o di qualche collezionista, sicuramente si possono trovare le copie o addirittura gli originali. Quello che di certo possiamo dire, è che volenti o nolenti quelle carte devono in qualche modo aver contribuito alla decisione di assassinare Benito Mussolini e Claretta Petacci. 
Anche per questo e soprattutto per questo è nostro dovere indagare, insistendo nonostante i boicottaggi che continuano ad arrivare sull’argomento.

Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini

martedì 28 aprile 2009

LE MOLTEPLICI CONTRADDIZIONI DELLA VERSIONE UFFICIALE

I TESTIMONI OCULARI
Innanzitutto dobbiamo citare le testimonianze di alcuni protagonisti di quelle giornate che hanno ufficialmente negato o comunque non riconosciuto in Walter Audisio il vero responsabile del duplice omicidio Mussolini-Petacci. 
I testimoni sono:
- Urbano Lazzaro “Bill” (colui che passò alla storia per aver scoperto il Duce all’interno del camion tedesco nei pressi di Dongo). In tutte le sue dichiarazioni ha sempre affermato che il colonnello Valerio da lui conosciuto in quei giorni non era Audisio ma invece Luigi Longo (dichiarazioni riscontrabili anche nell’autobiografia di Lazzaro “Dongo, mezzo secolo di menzogne” ediz. Mondadori).
- Guglielmo Cantoni “Sandrino” (partigiano messo a guardia di Mussolini fuori dalla stanza di casa De Maria a Bonzanigo). Egli dichiarò pubblicamente allo storico Giorgio Pisanò:“Non è andata come la raccontano…..” rivelando inoltre sia alla moglie che ad un amico di fiducia, che il Duce venne ucciso sotto casa, legato al catenaccio del portone della stalla (testimonianza riscontrabile nel libro di Pisanò “Gli ultimi 5 secondi di Mussolini” ediz. Il Saggiatore).
- Lia De Maria (la padrona della casa in cui passarono le ultime ore Benito e Claretta) Affermò ad Urbano Lazzaro che Walter Audisio non è il colonnello Valerio che vide in casa sua quel 28 aprile
Indirettamente ci arrivano altre testimonianze che portano a smascherare Audisio:
- Francesca De Tomasi, cugina di Walter Audisio. Lavorava presso il comando generale delle brigate partigiane “Garibaldi” e fu lei l’incaricata di trascrivere a macchina tutto il rapporto che si decise di far pervenire al giornale di partito “L’Unità” inerente alla descrizione dei fatti del 28 aprile. Quel giorno erano presenti nell’ufficio in cui lavorava la De Tomasi, oltre a suo cugino Audisio, che appunto le dettò il resoconto, anche l’altro protagonista, Aldo Lampredi. Nella sua più che attendibile testimonianza, ci riporta come molto spesso suo cugino esitava nella descrizione dei fatti, tra dubbi e inceppamenti, leggendo di continuo dei foglietti pieni di appunti, il che tutto faceva chiaramente supporre che ciò che veniva raccontato era stato inventato di sanapianta, tanto che più volte Audisio chiese l’approvazione di Lampredi, inerente ad un particolare o ad un’azione. 
A conclusione del racconto, Audisio rivolgendosi a sua cugina disse con tono minaccioso che quella doveva esser la versione che sarebbe per sempre passata alla storia; poco dopo Lampredi, dando una pacca sulla spalla ad Audisio esclamò: “Allora d’accordo? La sopporti tu adesso la parte dell’eroe…”

- Dorina Mazzola (vicina di casa dei De Maria) la quale testimoniò di aver visto uccidere Claretta Petacci di fronte casa sua,dopo che i partigiani stavano portando via a braccia il corpo di un uomo calvo, dimostratosi poi essere Mussolini (testimonianza riscontrabile nel libro di Pisanò “Gli ultimi 5 secondi di Mussolini” ediz. Il Saggiatore).
Oltre a queste testimonianze dirette e indirette, abbiamo un’innumerevole serie di contraddizioni, errori e smentite su quella che è la cosiddetta “versione ufficiale” riproposta in quattro distinte occasioni.
LE CONTRADDIZIONI
La lista e lunghissima, ma si potrebbe ad esempio partire subito con la descrizione del numero di colpi sparati durante la famigerata esecuzione.
1^ VERSIONE (da “L’Unità” del 30 aprile 1945. Valerio racconta ):
“….Da una distanza di tre passi feci partire CINQUE colpi contro Mussolini, che si accasciò sulle ginocchia con la testa reclinata sul petto. Poi fu la volta della Petacci..”

2^ VERSIONE (dal resoconto a puntate apparso su “L’Unità” del dicembre 1945- 20^ puntata. Valerio racconta): 
“……Scaricai CINQUE colpi al cuore…..Non era morto: tirai ancora una sventagliata rabbiosa di QUATTRO colpi… Mussolini respirava ancora e gli diressi un SESTO colpo dritto al cuore….”

3^ VERSIONE (da “L’Unità” del 28 marzo 1947. Valerio racconta):
“…..E su quel corpo scarico CINQUE colpi. Si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto. Non era ancora morto, gli tirai una seconda raffica di QUATTRO colpi. La Petacci, fuori di sé, stordita, si mosse confusamente; fu colpita e cadde di quarto a terra. Mussolini respirava ancora e gli diressi, sempre col mas, UN ULTIMO colpo al cuore…..”

4^ VERSIONE (dal libro di Walter Audisio,“In nome del popolo italiano” uscito nel 1975):
“……Quando mi fui di nuovo piantato di fronte a lui, con il mitra in mano scaricai CINQUE colpi su quel corpo tremante. Si afflosciò sulle ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto… Mussolini respirava ancora e gli diressi UN ULTIMO colpo al cuore…..”

Ciò che salta subito agli occhi è che questo Valerio parla prima di cinque colpi (il 30 aprile 1945), poi di punto in bianco, come per magia i colpi raddoppiano e diventano dieci (dicembre’45 e marzo ’47); alla fine ritornano di meno, cioè sei (libro del 1975).
Valerio si sarebbe dovuto decidere: quel giorno sparò col suo mitra cinque, sei o dieci colpi? Quello che ci viene fatto intendere rileggendosi bene e per intero le quattro versioni sono i seguenti risultati : 
1) Nella prima versione si parla di CINQUE colpi sparati su Mussolini, che lo uccidono con effetto immediato. Poi toccò alla Petacci, ma qui non si parla né di come né di quanti colpi furono sparati (tanto che innesca forte il dubbio che sia appunto stata ucciso in un altro momento e non per errore dovuto al suo “muoversi confusamente”

2) Nella seconda versione i colpi sparati si trasformano per magia in dieci, di cui SEI avrebbero ucciso Mussolini mentre gli altri quattro furono sparati a “casaccio” tanto da colpire non si sa bene come anche la Petacci, che nel frattempo si sarebbe messa di mezzo.
3) Nella terza versione Mussolini viene ucciso da DIECI colpi, tra cui alcuni avrebbero colpito anche la Petacci (in che modo però non è chiaro. Forse trapassando il corpo del Duce ed andando ad infilarsi in quello di Claretta con una precisione talmente chirurgica da colpirle i centri vitali? Roba da fantascienza....)
4) Nella quarta versione i colpi sparati furono di nuovo solo SEI, tra cui alcuni colpirono anche qui (non si sa bene come) Claretta, 
Queste piroette audisiane fanno riflettere su un unico particolare: dopo quarant’otto ore dagli eventi, Valerio parla (ricordiamo sempre che aveva i ricordi ben freschi) di cinque colpi sparati in tutto.

Poi avviene Piazzale Loreto e nell’agosto dello stesso anno il dott. Cattabeni pubblica il resoconto della sua autopsia, che rileva come sul corpo di Mussolini vi siano ben nove colpi, di cui almeno sette sono da considerarsi vitali. Tale esame smentì in maniera palese la versione fin lì data. Come giustificare allora la cosa? I colpi non erano stati solo cinque? Perché il professor Cattabeni parla di nove colpi nel suo resoconto autoptico? 
A questo punto Valerio si vide costretto a smentire se stesso, correggendo il tiro e parlando di dieci colpi sparati (ed ecco che qui si parte con la ricostruzione fatta tra il novembre ed il dicembre di quello stesso anno). Man mano che i resoconti della necroscopia vengono alla luce e analizzati da esperti, ci si ritrova a parlare prima (nel dicembre ’45) di sei colpi vitali, e i restanti di sola ferita, poi, siccome i dubbi persistono, a scanso di equivoci Valerio decide di parlare di dieci colpi decisivi (marzo ’47), che non si sa bene come hanno preso dentro pure Claretta Petacci.......Poi, dopo trent’anni, confidando che tutto fosse finito nel “dimenticatoio” Audisio torna a parlare di soli sei colpi.... Ma come? Se persino l’autopsia ne ha riscontrati nove e lui stesso aveva parlato nei resoconti degli anni precedenti di aver inferto il doppio dei colpi ?!
A parte queste confuse ed assurde testimonianze, tutte in contraddizione fra loro, viene anche da chiedersi come Claretta in tutto questo ci sia finita di mezzo….
Qui l’analisi sarebbe ancora più lunga. Per brevità potremmo citare alcuni punti interessanti per capire come la ricostruzione ufficiale non stia in piedi:
- sui resti di Claretta sono stati trovati due proiettili calibro 9, che senz’ombra di dubbio appartengono al mitra Colt, all’epoca usato dagli agenti dei servizi segreti inglesi. Come mai c’erano questi due tipi di proiettili fra i resti di Claretta, se Audisio afferma di aver sparato con il mitra Mas (calibro 7,65)? 
- dalle fotografie scattate sul selciato di Piazzale Loreto e dalla successiva autopsia fatta sui suoi resti riesumati nel 1956 si è riscontrato che Claretta è stata uccisa con quattro colpi alla schiena, tanto che in una foto scattata nel giorno dell’esposizione dei cadaveri si nota bene questo particolare: effettivamente si vedono i fori d’uscita davanti sul petto. La precisione dei colpi alla schiena della Petacci non può avvenire in circostanze come quelle descritteci nella versione ufficiale secondo la quale Claretta si sarebbe “mossa in modo confuso”. Quantomeno se fosse vero che si è bruscamente mossa, agitandosi in modo scomposto è probabile che avremmo trovato fori anche sui fianchi o forse anche sul petto (intesi i colpi inferti in vita. Gli altri fori sono tutti post-mortem) ed eventualmente questi fori sarebbero stati riscontrati essere entrati ed usciti in posizione laterale. Mentre qui sembra fin troppo evidente che chi ha sparato ha mirato in modo preciso ed in posizione frontale rispetto alla schiena della vittima. Pare essere molto strana tutta questa precisione se si considera che la persona si sarebbe agitata e mossa bruscamente per pararsi davanti al suo amato; una dinamica del genere, sempre credendo alla versione ufficiale, ci lascia davvero stupiti, visto che è quasi impossibile che accada normalmente....
- la contraddizione stessa di Valerio nel raccontare la dinamica della morte, prima ammettendo che dopo il Duce toccò a lei (vedi 1^ versione da “L’Unità” del 30 aprile 1945, ovvero due giorni dopo gli avvenimenti di Bonzanigo. All’epoca così Valerio liquidava la questione Petacci) :“…Da una distanza di tre passi feci partire cinque colpi contro Mussolini, che si accasciò sulle ginocchia con la testa leggermente reclinata sul petto. Poi fu la volta della Petacci…” Questo resoconto con quel “poi” fu la volta della Petacci, fa chiaramente intendere che la sua fucilazione è avvenuta per decisione volontaria e non dunque per un incidente in seguito ad un movimento “confuso” della donna. La 1^ versione, ricordiamolo, fresca degli eventi, contraddice totalmente quelle dei resoconti di sette mesi più tardi e degli anni successivi, dove si premerà invece sul tasto dell’incidente.
- Il luogo dove muore Claretta. Nel resoconto a puntate de “L’Unità” del dicembre 1945- 20^ puntata Valerio racconta :)“….cadde anche lei [la Petacci]; cadde rigida come il legno e rimase stecchita sull’erba umida….”
Nel momento di descrivere l’esecuzione di Mussolini e “l’incidente” che avrebbe portato alla morte di Claretta, Audisio afferma che ella cadde sull’erba umida. Il punto cruciale di questo particolare è che davanti al cancello di villa Belmonte non esisteva e non esiste tutt’ora alcun manto erboso; solo cemento e la sede stradale. Possibile che Audisio, anche questa volta si sia preso un abbaglio, vedendo cose che nella realtà non ci sono affatto? Ma in realtà in questo caso c’è una verità di fondo: la realtà sta nel fatto che Claretta è davvero morta cadendo sull’erba umida, ma 
bensì tutt’altra parte, a circa mezzo chilometro di distanza e con circa cinque ore d’anticipo rispetto alle cosiddette 16:10…Proprio come testimonierà Dorina Mazzola...

Per tornare al quadro generale non si può scordare uno dei punti più eloquenti che smascherano le menzogne e le contraddizioni della versione passata alla storia. Stiamo parlando nello specifico dei tre differenti resoconti che i presunti protagonisti di quelle ore, Audisio, Lampredi e Moretti hanno dato in merito a quelle che furono le ultime parole di Mussolini di fronte ai suoi giustizieri.
Ricordiamo che nella versione ufficiale, i tre si trovavano insieme davanti ai cancelli di villa Belmonte, alle ore 16:10, per eseguire la condanna di Mussolini.

Secondo Walter Audisio, il Duce, impaurito di fronte al mitra del suo aguzzino, tutto tremolante e balbettante esclamò: “Ma, ma, ma.... signor colonnello!”
Secondo Aldo Lampredi, il Duce, con la massima freddezza si aprì il pastrano e disse: “Mirate al cuore!”
Secondo Michele Moretti, il Duce,freddo e caparbio gridò: “W l’Italia!”
Davvero singolare come i tre presunti protagonisti di quei fatidici minuti si smentiscano l’un l’altro, non mettendosi d’accordo nemmeno su quelle che furono le ultime parole pronunciate dal Duce. C’è una bella differenza tra implorare balbettanti, ed aprirsi il cappotto chiedendo di mirare al petto o addirittura gridare un evviva al proprio paese. Davvero incredibile come un evento di così grande importanza storica venga ricostruito in tre differenti modalità totalmente discostanti fra loro, da tre persone che dicono di essere stati presenti ed aver partecipato all’esecuzione di Benito e Claretta. Come mai le loro dichiarazioni non coincidono? Mistero... Forse perchè nella realtà davanti a quel cancello si è sparato solamente su due cadaveri per inscenare una fucilazione? Oramai ne siamo convinti e tutte le prove portano a questa tesi. Certamente questa contraddizione dei tre pseudo-protagonisti è uno dei misteri e delle gaffe più clamorose di tutto il racconto descrittoci.
Basterebbe solo questo per contraddire e smentire definitivamente la versione ufficiale...
Ci sono tanti altri aspetti contraddittori nella ricostruzione passata alla storia, che si potrebbero velocemente elencare:

ERRORI LOGISTICI

Si descrivono strade percorse in salita per raggiungere casa De Maria, su tragitti che al contrario sono in discesa o al massimo pianeggianti. Si parla di una casa incastonata nella montagna con le scalette scolpite nella roccia, quando in realtà l’abitazione è ben distante dai monti e con le scale costruite con materiali comuni. Si parla di una stanza senza finestra dove venne fatto rinchiudere il Duce, quando invece quella stanza una finestra l’ha eccome. Si parla di una strada scoscesa, quando il manto stradale, stando al tragitto che ci viene riportato, non presenta alcun difetto. Si parla di una strada stretta dove la macchina non può passare, dove invece, stando sempre alla descrizione del percorso eseguito ufficialmente, lo spazio c’è sicuramente.

ERRORI DI PERSONA

Si descrive la presenza di “Bill” nel gruppo che va in casa De Maria, quando in realtà il partigiano non ha mai messo piedi a Giulino di Mezzegra. 
Si scoprirà poi essere uno scambio di persona, confondendolo con Moretti, cosa questa comunque strana perché il vero colonnello Valerio conosceva bene entrambi.
Si sbaglia il nome dell’autista personale di Valerio, che in realtà era Geninazza, anche qui cosa curiosa perché Audisio avrebbe dovuto conoscerlo molto bene, visto che era il suo autista. O almeno, era l’autista del vero colonnello Valerio.

ALTRI GROSSOLANI ERRORI

Nel resoconto a puntate de “L’Unità” del novembre 1945 – 19^ puntata Valerio racconta: 
“…Mussolini in piedi vicino al letto, indossava un soprabito color nocciola, il berretto della GNR, senza fregi, gli stivaloni neri di cui uno, il destro, era sdrucito di dietro…”
nel libro di Walter Audisio,“In nome del popolo italiano” uscito nel 1975, si legge: 
“…Ci avviammo per la mulattiera… Lui, più Duce che mai, camminava spedito, sicuro, con un’aria tra il soldato che marcia e l’uomo che ha fretta……”
Però! Un autentico fenomeno! Com’è possibile che Mussolini potesse camminare sicuro e spedito come un soldato che marcia o comunque andando di fretta, se è vero che Valerio, entrando nella stanza ha subito notato che il Duce aveva gli stivali rotti, o comunque almeno uno sdrucito? E per rotti si intende ciò che abbiamo visto: uno stivale totalmente aperto….. la cui motivazione non sta in una sdrucitura, ma bensì nella rottura della cerniera nella parte bassa della calzatura, impedendo dunque di poterlo chiudere (come Giorgio Pisanò ha riscontrato nel 1996, esaminando lo stivale nella cripta del cimitero di Predappio. Fotografie reperibili nel suo libro “Gli ultimi 5 secondi di Mussolini”). Com’è possibile che il Duce, se è vero che già dentro la sua stanza aveva lo stivale in quelle condizioni, potesse poi camminare per la strada in modo sicuro e spedito? In quella circostanza era praticamente impossibile muoversi a piedi da casa De Maria, a meno che non fosse uscito di casa scalzo (ma in questo caso, difficilmente avrebbe camminato spedito e comunque non esistono alcune testimonianze che fondino eventualmente questa tesi) oppure, cosa più probabile, che sia stato trascinato di peso, perché morto…
Vi è poi la questione della colazione. Si è detto che Mussolini avrebbe mangiato nella tarda mattinata un po’ di frutta, del salame, della polenta e del latte. Il problema, anzi, l’anomalia, sta nel fatto che dall’autopsia eseguita dal Dottor Mario Cattabeni, risulta inequivocabilmente che Mussolini non aveva alcun resto di cibo nello stomaco..... Com’è allora possibile?! Se, come vuole la versione ufficiale, il Duce avesse effettivamente mangiato in casa De Maria verso mezzogiorno, allora quando venne poi successivamente ucciso, sempre secondo la versione ufficiale, intorno alle 16:10 avrebbe dovuto portare per forza di cosa nello stomaco ancora i resti del cibo. Come mai invece ne era totalmente privo? La digestione non può consumarsi in così breve tempo! Allora le cose sono due: o non ha mangiato ed il suo stomaco non ingeriva cibo fin dalla sera del giorno prima, quando cenò nella caserma di Germasino, oppure è stato ucciso prima di arrivare a mezzogiorno (comunque senza mangiare...)
A lasciare ulteriormente perplessi, sono le testimonianze che arrivano da coloro i quali notarono che in Mussolini era già presente la rigidità cadaverica, subito dopo la presunta sentenza di Villa Belmonte delle 16:10.
Il partigiano Giacomo Bruni, colui che caricò i cadaveri di Mussolini e la Petacci verso le 18:00 sul camion che li avrebbe poi trasferiti a Milano, in Piazzale Loreto, conferma che la salma del Duce non perdeva più sangue e che il corpo non era mollo come quello di uno che è stato appena ucciso, ma rigido e pesante, tanto che esclamò stupito: “Come pesa sto Mussolini!” Appunto, pesava come pesa normalmente un cadavere che è tale da molte ore.... E il sangue, che fine aveva fatto? Si era già coagulato in meno di due ore? Impossibile...
Anche Roberto Remund, partigiano presente in quelle ore a Giulino di Mezzegra, ricorda una serie di anomalie: dopo la fucilazione davanti villa Belmonte, lui si recò subito sul posto e notò che né il Duce, nè la Petacci perdevano sangue…
Inoltre, cosa non trascurabile, Remund testimonia un ulteriore e fondamentale particolare: giunto sul posto vide in terra sia Mussolini che la Petacci, rannicchiati su se stessi… Rannicchiati, possiamo aggiungere noi, come due cadaveri che sono stati nascosti per ore in uno spazio stretto, tipo il bagagliaio di un auto…(come alcune testimonianze riportate nell’inchiesta di Giorgio Pisanò). Molto anomala questa posizione se consideriamo che Audisio ha affermato: “[Mussolini} si afflosciò sulle 
ginocchia, appoggiato al muro, con la testa reclinata sul petto....”
E allora, come poteva essersi rannicchiato su se stesso se era rimasto inginocchiato ed appoggiato al muro? E guarda la coincidenza, pure la Petacci assunse quella stessa e strana posizione…… E’ evidente quindi che le testimonianze susseguitesi negli anni, che parlano del fatto che i due cadaveri vennero caricati sul bagagliaio di un auto e nascosti lì per ore, hanno a questo punto una loro ulteriore e logica conferma. 
A voi l’ennesima riflessione……
Si potrebbe continuare a lungo ad esaminare gli errori e le contraddizioni della versione ufficiale, le testimonianze che smontano i particolari degli avvenimenti descrittici da Audisio, (alias, il presunto colonnello Valerio) ma possiamo ritenere che quanto esposto fin qui sia sufficiente per gettare definitivamente nell’immondizia questa palese falsità che ci è stata tramandata ed imposta per oltre sessant’anni.
Quello su cui dobbiamo lavorare adesso è la ricerca della sacrosanta verità vera.

Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini

venerdì 23 gennaio 2009

UNA MORTE MISTERIOSA..... UN ATTO CRIMINALE....

UNA MORTE MISTERIOSA

Dopo i fatti tragici dell’aprile 1945, nel nostro paese è incomprensibilmente iniziata una sistematica censura su tutta la verità che si cela dietro la morte ancora misteriosa di Benito Mussolini e Claretta Petacci; una verità che a tutti i costi non doveva e non deve tuttora passare.... Perché? Cosa accadde di così inenarrabile quel 28 aprile a Bonzanigo di Mezzegra e dintorni tanto da dover mentire per così tanto tempo? Chi si vuol tuttora coprire? E soprattutto per quale motivo? Perché sono stati uccisi alcuni testimoni di quei fatti, se tanto il duplice omicidio è stato reso pubblico e giustificato? Perché si è inscenata una finta fucilazione davanti al cancello di villa Belmonte, sparando su due cadaveri? C’entrano forse i scottanti documenti che il Duce aveva con se, su tutti, il famoso carteggio segreto “Churchill-Mussolini”? O in qualche modo è implicato l’ingente oro sequestrato alla colonna fascista fermata a Dongo dai partigiani e fatto poi sparire per sempre (dai comunisti)? O cos’altro ancora? Nessuno fra i principali protagonisti volle parlarne, nessuno avrà mai il coraggio, né l’onesta di farlo; “la pelle è una sola.....” dirà poi uno dei testimoni di quelle vicende.......
Comunque siano andate le cose, l’unica cosa certa è che la storia che ci hanno fin qui sempre raccontato è una colossale menzogna, smentita oramai da molti testimoni e da perspicaci storici che hanno dedicato parte della loro vita a svolgere tutte le indagini possibili pur di giungere alla tanto sospirata verità.
Gli storici ci hanno sempre fin qui narrato che ad uccidere Benito e Claretta sono stati esclusivamente i comunisti; altri invece hanno affermato che sono stati gli agenti dei servizi segreti inglesi, sotto commissione di Churchill; quindi il dibattito si è sempre svolto fin’ora nel guardare o solo da una parte o solo dall’altra. Si può comunque ritenere, alla luce di tutti i documenti fin qui raccolti, che probabilmente entrambe le componenti abbiano partecipato al duplice omicidio, più o meno attivamente.
Sia i comunisti che gli inglesi infatti, volevano Mussolini morto, ed una delle due parti aveva già deciso che anche la Petacci doveva morire. Entrambi gli schieramenti sono partiti con una missione segreta, decisa sottobanco, in barba alle disposizioni ufficiali degli Alleati e della Convenzione di Ginevra. Si può supporre che è stata solo una questione di tempistica: chi per primo è arrivato, ha “fatto fuori” il Duce; gli altri, giunti soltanto dopo sul posto, si sono “accontentati” di finire il lavoro sporco, eliminando anche la povera Claretta. Perché? Qui molte cose inducono a credere alla pista inglese, ma non si può neppure escludere l’ipotesi della cattiva gestione degli avvenimenti da parte di chi aveva Mussolini e la Petacci in custodia, degenerando col passare delle ore alla duplice tragedia finale.
Quello che sicuramente sappiamo oramai con certezza è che la versione passata alla storia non rappresenta la verità, tanto che in molti l’hanno smentita, facendone notare le molteplici contraddizioni e falsità.

UN ATTO UNICAMENTE CRIMINALE

L’omicidio Mussolini (poiché è questo il vero ed unico giudizio che bisogna dare a quella feroce operazione paramilitare avvenuta nei dintorni di Bonzanigo di Mezzegra nell’ormai lontano 28 aprile del 1945), si tratta essere a tutti gli effetti un delitto in piena regola, studiato a tavolino e messo in atto da un gruppo di vili criminali, che hanno agito in modo del tutto arbitrario, infischiandosene delle leggi vigenti e degli ordini imposti da coloro che in quel momento governavano, dando retta invece soltanto ad esigenze forse ideologiche, forse politiche. 
Non si può parlare quindi di un atto di giustizia, poiché la vera giustizia prevedeva un regolare processo, in un regolare tribunale, alla presenza di regolari giudici, autorizzati a svolgere la loro professione da un regolare stato, che emanava regolari leggi. 
E Mussolini, come qualunque altro essere umano su questa terra, aveva il sacrosanto diritto di potersi difendere in un’aula di tribunale, rispondendo alle accuse che sarebbero state mosse nei suoi confronti, e forse, sarebbe pure riuscito a presentare le prove che lo avrebbero assolto da più di una delle accuse internazionali, eventualmente mosse a suo carico. Lui stesso dichiarò in quei giorni, attraverso una lettera-memoriale, di prevedere il fatto che non sarebbe mai stato processato perché da accusato sarebbe diventato pubblico accusatore. Chissà, forse è morto proprio per evitare che si arrivasse a questo......
Ma, a parte ciò, nessuno poteva sostituirsi al giudizio Divino, né a quello legittimo della magistratura, per sentenziare se un uomo è degno o no di continuare a vivere. 
Ed invece.... Chi ha processato Mussolini? Nessuno. Chi lo ha portato in un’aula di tribunale? Nessuno. Chi, fra quelli che ne avevano l’autorità, ha emesso la condanna a morte? Non si sa....Forse un giudice? No. Allora il governo Bonomi con un proprio emendamento? No. Gli Alleati? Nemmeno. Ma allora, alla presenza di chi e quando si è svolto questo processo? Mai... 
L’omicidio di Mussolini e della Petacci (perché anche lei è stata volutamente assassinata) sono stati degli atti immorali ed illegali che avrebbero dovuto portare a perseguire legalmente gli autori ed i complici di quella feroce operazione paramilitare; ma per fare ciò bisognava prima scoprire i colpevoli, quelli veri, cosa questa praticamente impossibile, perché sono passati sessantaquattro anni ormai ed ancora non si è frantumato quel muro di menzogne e di omertà che i comunisti ed i loro affiliati hanno imposto con la forza e col terrore.
Già, i comunisti...... coloro i quali si sono attribuiti il “merito” di aver assassinato il Duce e altre diciassette personalità legate alla R.S.I. (ovvero gli uomini catturati a Dongo insieme a Claretta e Marcello Petacci); gli stessi, questi comunisti, che il giorno dopo ordinarono l’infame scempio di Piazzale Loreto esponendo i cadaveri come bestie sgozzate in un macello. Un volgare spettacolo da “macelleria messicana” dirà poi qualcuno.....
Anche qui nessuno pagò mai per quel crimine: vilipendio di cadaveri (ben 19 se calcoliamo anche il malcapitato Achille Starace, che nulla aveva più avuto a che fare con la politica fin dal lontano 1939, emarginato da tutto e da tutti, ma che fu preso mentre correva in tuta ginnica per la strada e messo vigliaccamente anch’egli nel calderone delle vittime, esposto poi alla gogna).
E’ proprio a Piazzale Loreto che l’Italia si macchierà della pagina più vergognosa della propria storia, mostrando al mondo intero quegli istinti animaleschi di una parte del proprio popolo, evidentemente ancora troglodita.....
Anche per questo, non possiamo esimerci dal pretendere che la verità venga alla luce, ribadendo il nostro intento di rendere giustizia morale e storica a Mussolini, alla Petacci e a tutti gli uomini che hanno lottato e sono morti trucidati, per difendere la sovranità e l’onore d’Italia.

Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini

PRESENTAZIONE del Comitato Verità e Giustizia per Mussolini

PRESENTAZIONE
Questo comitato nasce come gruppo di ricerca, rivolto principalmente all’esigenza di scoprire la verità sull’omicidio di Benito Mussolini, cercando con ogni mezzo a nostra disposizione tutti gli elementi possibili per far luce su quella vicenda e rendere finalmente giustizia alla figura del Duce.
In quest’ottica s’inserisce conseguentemente anche la necessità di scoprire tutti i misteri che si celano dietro questa morte, a partire dai misteriosi carteggi con Churchill fino alla sparizione dell’oro di Dongo. 
Inevitabilmente, facendoci carico di questa iniziativa, riteniamo necessario lavorare ad una corretta revisione storica della figura di Benito Mussolini e del fascismo, nell’ottica di consegnare alle future generazioni un quadro più chiaro e onesto, cosa questa che per oltre sessant’anni ci è stata negata dalla vulgata resistenziale. Ma allo stesso tempo significherebbe finalmente onorare moralmente e storicamente il politico, lo statista, l’uomo Mussolini.
Ci prefiggiamo come prima cosa di svolgere pressioni verso lo stato italiano affinché si decida a rendere pubblici i molti documenti attualmente ritenuti riservati, a partire dai diari di Claretta Petacci, che in qualche modo spiegherebbero molte questione sulla scelta del Duce di entrare in guerra, probabilmente includendo notizie utili anche sull’esistenza ed i contenuti del carteggio Mussolini-Churchill.
Come seconda iniziativa intendiamo chiedere al nostro governo di fare pressioni nei confronti dell’Inghilterra affinché rendano pubblici i contenuti degli scambi di lettere tra il Duce e Churchill, fornendo inoltre le prove fotografiche che per anni si sono rifiutati di consegnare, le quali dimostrerebbero la presenza sul luogo del delitto di emissari inglesi, che avrebbero immortalato i corpi di Mussolini e la Petacci, nei minuti successivi al loro decesso, ben prima di quelle 16:10 considerate attualmente come ora ufficiale del decesso.
Terzo obiettivo è ottenere l’autorizzazione a dedicare strade, piazze e monumenti a Benito Mussolini, senza incorrere in sanzioni penali.
Quarto punto, chiedere alle nostre istituzioni d’intraprendere una giusta e obiettiva revisione storica del ventennio, riscrivendo da zero quel periodo, attingendo a nuovi documenti, nel rispetto e nella pluralità dei giudizi. 
Insomma, dare a Cesare quel che è di Cesare (o se si preferisce, dare a Benito quel che è di Benito).
Vi chiediamo inoltre di contribuire al progetto segnalandoci qualunque fonte, documento, fotografia, testimonianza o libri possano in qualche modo riservare nuovi sviluppi utili a far chiarezza su quegli avvenimenti. 
Procederemo con il sottoporre allo stato italiano la nostra petizione.
Il tutto per amor di verità e per poter rendere finalmente giustizia a Benito Mussolini.


Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini

LA PETIZIONE
Con la presente sottoscrizione il “Comitato Verità e Giustizia per Mussolini” chiede ufficialmente allo stato italiano:
1) di rendere immediatamente pubblici tutti i documenti ancora non secretati, inerenti al periodo storico del ventennio fascista, partendo da tutti i diari personali di Claretta Petacci.
2) di fare pressioni verso gli archivi di stato britannici e l’Inghilterra stessa, al fine di ottenere tutte le informazioni e le copie dei documenti inerenti ai rapporti epistolari intrattenuti tra Churchill e Mussolini, incluse eventuali prove fotografiche che mostrerebbero i corpi del Duce e della Petacci, nei momenti immediatamente successivi al loro decesso.
3) la facoltà e il diritto ad intitolare strade, piazze e monumenti a Benito Mussolini, senza per questo incorrere in sanzioni penali.
4) la revisione totale del periodo storico fascista, riscrivendo da zero i testi scolastici attraverso l’inserimento di nuove e maggiori fonti e documentazioni, nella pluralità e obiettività del giudizio.



Il Comitato Verità e Giustizia per Mussolini